Il nuovo Ep di Luca Fellaz è il primo lavoro sfornato dalla Safe Port Production
LOCARNO - Nelle scorse ore è uscito nei negozi online e sulle piattaforme streaming "128", il nuovo lavoro di Luca Fellaz. L'Ep - nel quale troviamo il cantautore locarnese a voce e chitarra acustica, Gianluca Maccagni alla chitarra elettrica, Matteo Mazza alla batteria e la produzione, missaggio e masterizzazione di Leo Pusterla - segna anche il primo lavoro che nasce sotto l'egida della Safe Port Production.
Com'è nata la collaborazione con Leo Pusterla e la sua casa di produzione?
«L'ho conosciuto anni fa, quando organizzava dei piccoli live acustici in un bar di Locarno. L'ho avvicinato per suonare e siamo rimasti in contatto finché, l'anno scorso, gli ho comunicato che mi sarebbe piaciuto collaborare con lui per il materiale che stavo preparando. "Capiti a pennello" mi ha detto Leo, che stava per lanciare la Safe Port Production».
Vi siete quindi messi al lavoro.
«Abbiamo buttato giù delle date e mi sono messo a scrivere e produrre come un matto (ride, ndr). Abbiamo iniziato a registrare a fine agosto»
Come vi siete trovati, tu e Leo?
«Molto bene. Abbiamo idee abbastanza simili e lui non si limita solo a registrarti e basta: consiglia, suggerisce e in una collaborazione del genere c'è interesse da tutte e due le parti. È bello lavorare con lui».
La componente autobiografica sembra molto forte: ti sei messo particolarmente a nudo?
«Non sono una persona che si apre facilmente. Se mi conosci, la prima sera parliamo già del più e del meno ma ci sono argomenti che tengo più per me. Sono questi che riverso nella mia musica: già nel mio primo Ep avevo "buttato fuori" delle tematiche che non volevo toccare con nessuno».
Anche questa volta è stato così?
«C'è una canzone che ho dedicato a una ragazza e che viene subito dopo quella che parla di una rottura; un'altra è nata dopo una settimana nella quale ero "nero" per il dover sempre lavorare, lavorare... Ci si sente sempre un po' più liberi, quando si tirano fuori certi temi».
Quindi per te, come per tanti, fare arte è terapeutico?
«Esattamente. Ma è anche un limite: devo sempre aspettare il momento giusto per scrivere, quando ho vissuto qualcosa. Altri, invece, compongono molto di più».
In "Ain't Time To Cry", il singolo che lancia l'Ep, hai cristallizzato lo scorrere del tempo.
«Nella vita di tutti i giorni faccio il macchinista sui treni e, da quando ho iniziato questo lavoro, mi rendo conto che faccio molti più sacrifici. Rispetto all'impiego precedente ho molti più soldi, ma molto meno tempo per gli amici, per suonare... E questo mi ha fatto pensare: cosa voglio, avere tanto denaro e non avere il tempo di viverlo?».
È una condizione di vita che fa per te?
«Vedo che per tanti amici funziona. Lavorare tutta la settimana, tornare a casa, magari avere la ragazza, poi sposarsi e avere dei figli... Ma io non mi ci rivedo per niente, in questo schema preconfezionato. Ai tempi ho preso la scelta del lavoro per identificarmi in quello che facevano gli altri, ma voglio restare più ribelle. Per questo ho scritto la canzone».
"How Could I" è la canzone della perdita, in questo caso amorosa: come si racconta un vuoto, un'assenza?
«Ricordo di averla scritta sdraiato a letto, in tre giorni. Qualcosa che non mi era mai successo: di solito impiego mesi a creare un brano. In quell'occasione la mia mano è partita ed è arrivato il testo, stessa cosa con la musica alla chitarra».
"Noa" è l'unico brano in italiano: quale lingua senti più congeniale al tuo cantautorato?
«Mi trovo molto meglio con l'inglese. Ho voluto fare un esperimento con la lingua italiana... però no, continuerò con l'inglese».
Presenterai l'Ep dal vivo?
«Abbiamo intenzione di fare una o due serate di lancio, ma ancora niente di definito».
Per titolo troviamo una cifra, "128": ha un significato particolare?
«Diciamo di sì, ma è abbastanza un segreto (ride, ndr)».