La terza stagione di "The Bear" si conferma di altissimo livello in ogni dettaglio
SAVOSA - Le cicatrici richiamano il passato. Sia quelle reali che quelle emotive. Prende il via così, con il dettaglio sul profondo solco nella mano di Carmy Berzatto, la terza stagione di "The Bear". Un passato che permea il presente e che può condizionare il futuro, come si vede nei dieci episodi che danno testimonianza dell'inizio dell'attività del ristorante che punta a conquistare la sua prima stella Michelin. Una spinta all'eccellenza che sembra inevitabile ma che, altrettanto inevitabilmente, logora. "Ogni secondo conta" è il mantra in cucina, e ogni errore viene visto come una tragedia.
Il primo episodio ripercorre quello che è stato il percorso formativo di Carmy e funge, in sostanza, da maxi-riassunto delle stagioni precedenti. Troviamo elementi che abbiamo già visto e altri che ci giungono nuovi e che servono per approfondire sfumature e circostanze. Anche in questa terza stagione si va spesso e volentieri a scavare nel profondo, nella psicologia dei personaggi e nei rapporti tra di loro. Qui troviamo alcuni dei momenti più memorabili.
Chi ha visto le prime due stagioni sa come funziona lo show e sa che "The Bear" è tantissime cose: è un dramma, è una commedia, è una riflessione su come il lavoro possa essere totalizzante ma anche necessario, non solo per il sostentamento quotidiano ma anche per sentirsi realizzati. Vivi,
Christopher Storer, lo sceneggiatore e produttore alla base di "The Bear", ha assunto il compito di dirigere in prima persona alcuni degli episodi - e ha dato un'altra dimostrazione di come sia un maestro nel raccontare ambienti ansiogeni. Merito spesso di un uso serratissimo del montaggio, quasi vertiginoso, ma anche di dialoghi che vanno a infierire sulle ferite aperte dei personaggi. La regia, che sia curata da Storer o da altri, come la protagonista Ayo Edebiri, è magistrale. Le interpretazioni si confermano eccellenti e ci troviamo alle prese con veri e propri momenti di bravura: minuti nei quali sullo schermo non c'è altro che corpi, volti, sguardi e voci. E se ne resta catturati.
I protagonisti affrontano i cambiamenti della vita, per quanto sia possibile averne una al di fuori del ristorante. Già, perché l'alta cucina si avvicina a una forma d'arte basata sull'eccellenza - e raggiungibile attraverso una struttura gerarchica quasi militare. Se c'è una cosa che possiamo dire della serie, è questa: l'umanità dei personaggi è essenziale ed essi la coltivano gelosamente, qualunque cosa accada.
Non mancano nemmeno questa volta le ospitate eccellenti, quasi come nello straordinario episodio "Pesci" della seconda stagione. Tranquilli, niente spoiler.
"The Bear" si conferma un grande esercizio su come si affronta il dolore. Sono stati poi gettati i semi per quelli che, presumibilmente, saranno i temi cardine della quarta stagione. Coloro che sono rimasti parzialmente delusi si aspettavano probabilmente un focus maggiore sull'attività del ristorante e sul suo sviluppo nell'arduo cammino verso l'élite. In futuro la considereremo una stagione di transizione? Può darsi, intanto la godiamo