Cerca e trova immobili
Il dialetto ha un alfiere che non ti aspetti

CANTONEIl dialetto ha un alfiere che non ti aspetti

22.10.24 - 06:30
"Bordel" è il primo frutto di Mortòri, il nuovo progetto solista di Aris Bassetti
MARIE BROCHER
Mortòri.
Mortòri.
Il dialetto ha un alfiere che non ti aspetti
"Bordel" è il primo frutto di Mortòri, il nuovo progetto solista di Aris Bassetti

LUGANO - Accantonate per un attimo tutto quello che associate alla musica in dialetto: qualcuno che è comparso sulla scena ticinese scuoterà alla radice ogni vostra convinzione. Parliamo di Mortòri, il nuovo progetto solista di Aris Bassetti che, in "libera uscita" dai Peter Kernel, si è lanciato in una vera e propria sfida. Il primo frutto è "Bordel", con le sue sonorità post-rock e un testo scuro, diretto. Il racconto di una fuga. Il tutto pubblicato dalla sua etichetta, la ticinesissima On The Camper Records.

Aris, perché il dialetto?
«Non si estinguerà certo domani, ma sempre meno genitori lo parlano ai figli. Trovo che sia un peccato che si perdano certe radici. In famiglia sono cresciuto parlandolo, non ci ho mai pensato troppo, poi arriva l’età in cui ti vergogni di tutto e lo accantoni un po’; poi cresci e capisci il valore di certe cose. Che poi il mio è il dialetto della ferrovia...».

Diventa magari qualcosa di più di una lingua che suona bene con la musica?
«Mi sono reso conto negli anni, viaggiando tanto in Europa e in tutto il mondo, che il dialetto rappresenta le mie radici - nonostante mi senta quasi un po' a disagio, per quella connotazione un po' vecchia e polverosa che gli resta attaccata. Con questa operazione ho voluto innanzitutto autenticare la mia vita e cercare di sentirmi finalmente più a mio agio con me stesso».

Già con i Peter Kernel c'era stato un tentativo...
«"Men of the Women", peraltro il nostro brano più ascoltato su Spotify con più di 1,2 milioni di stream, ha il ritornello in dialetto e negli anni abbiamo ricevuto un sacco di e-mail da persone che ci chiedevano che lingua fosse».

All'estero piace?
«Sì! Suona molto esotico, quindi affascina. Può essere molto ritmico e ci si può giocare molto. Poi ha sonorità che magari non sono troppo belle e quella è un po' la sfida. Finora ho fatto cinque concerti con il progetto, ma solo uno in Ticino; il resto davanti a persone che non lo capivano».

Che risposta c'è stata?
«Sorprendente. Tanti hanno chiesto, si sono informati. Musicalmente, poi, ci aggiungo il mio mondo, con sonorità che spaziano molto. Spero tantissimo di portare il dialetto in tutta Europa».

Quando ti è venuta l'idea alla base di Mortòri?
«Nel 2003 stavo finendo il diploma. Ascoltavo a raffica "( )" dei Sigur Rós e quella loro lingua inventata mi sembrava dialetto. Così ho pensato: "Magari un giorno faccio qualcosa in dialetto". Quel giorno è arrivato».

Nel singolo esplori il legame tra amore e morte.
«La mia vita sentimentale è sempre stata molto complicata. È capitato che mi sentissi come morto - non è che sto male, mi sembra proprio di morire. Mi rendo conto che in tanti vivono le cose in modo estremo o comunque hanno una prospettiva un po' oscura. A volte non mi piace proprio l'amore».

È una reazione da persona ferita, forse?
«Sì, e non sono l'unico. Durante i concerti cerco, in maniera scherzosa, di far mollare le coppie. "Tanto va a finire male, risparmiate tempo e soldi..." (ride, ndr) e quando scendo dal palco c’è chi viene a confidarsi».

Perché hai scelto questo titolo, "Bordel"?
«L'ho sperimentato su me stesso e su persone alle quali tengo molto: a volte è più facile stare nel casino, immersi nei dolori e nelle difficoltà. Per convertirli in cose buone ci vuole uno sforzo fisico e mentale che non sempre si è in grado di fare. Quindi, quando a un certo punto tutto finisce e non riesci nemmeno a parlare con la persona che ami, che è autodistruttiva, chiedi agli amici di farlo. Farle sapere che anche nell'ombra ci sono le stelle, che ci sono degli spiragli di luce anche nella m...a. Però magari non succede e devi accettare che è così».

Sul palco, insieme a te, ci sono l'Amore e la Morte.
«L'Amore sul palco è Anaïs Schmidt, dei Monte Mai. La Morte, vestita da scheletro, è Mortìsim».

Non è un caso che l'EP di debutto, "A Mort L'Amur", uscirà per San Valentino 2025...
«Certo. Per rovinare tutto, per rompere le balle (ride ancora, ndr). Dev'essere un progetto che disturba, che smuove certe corde a chi parla in dialetto ma in settimana usa l'italiano sul posto di lavoro o a chi crede troppo nell’amore».

Pensi di esserti messo in gioco, con questa avventura?
«Tanto. Forse troppo. Penso che sia la cosa peggiore che potessi fare».

In che senso?
«C'è qualcuno che apprezza e qualcuno che si chiede: "Ma cosa c...o sta facendo Aris in dialetto?". Per fortuna la maggior parte delle reazioni sono state positive. Anzi, alcune sono state proprio belle. C'è chi, da fruitore del dialetto, mi ha detto di essersi finalmente sentito rappresentato nella musica».

In effetti non è un linguaggio così usuale, al di fuori del folk o del cantautorato.
«Sono conscio dei limiti della scelta. Magari non riuscirò mai a uscire dal Ticino ma la mia idea era quella di esplorare e mettermi in difficoltà. Mi interessa anche il lato surreale e frustrante del progetto, correre il rischio di fare una performance al baretto di un distributore di carburante, davanti a tre vecchietti che t'ignorano».

Anche gli argomenti sono fuori dalla zona di comfort.
«Non m'interessa cantare le cose belle, non mi dice niente. Mi sento più a mio agio ad affrontare certi temi, probabilmente perché devo esorcizzare qualcosa. Se li vomito fuori non sono più miei ma diventano condivisi. È molto terapeutico questo progetto, il poter parlare delle mie attitudini autodistruttive, della depressione e di tutto quello che non funziona».

Entra nel canale WhatsApp di Ticinonline.
NOTIZIE PIÙ LETTE