Il giornalista ed ex dirigente del ramo Kurt Zimmermann è molto critico sugli aiuti che voteremo il prossimo 13 febbraio
«La legge è stata caricata di nuove sovvenzioni e soldi distribuiti a pioggia, tanto che alla fine bisogna dire: adesso è troppo».
BERNA - Per il settore dei media accedere al pacchetto di aiuti federali deciso da governo e parlamento «è come essere a Las Vegas, c'è improvvisamente un jackpot enorme e tutti vogliono accostarsi il più possibile»: lo afferma il giornalista ed ex dirigente del ramo Kurt Zimmermann, oggi noto commentatore.
In un'intervista video pubblicata dal portale Inside Paradeplatz il 70enne spiega che di per sé non sarebbe stato contrario a un sostegno del panorama mediatico, sul quale il popolo svizzero dovrà esprimersi il prossimo 13 febbraio. «Ma la legge è stata caricata di sempre nuove sovvenzioni e soldi distribuiti a pioggia, tanto che alla fine bisogna dire: adesso è troppo».
«Si è creata una situazione un po' indegna per i media», prosegue lo specialista con variegata carriera professionale, che lo ha fra l'altro portato a essere caporedattore della SonntagsZeitung, editore della rivista Facts, dirigente di Tamedia e presidente del consiglio di amministrazione di TV3.
A suo avviso la legge è nata da un'ottima collaborazione fra parlamentari ed editori. «Le parti non si sono mai capite così bene come in questo caso», afferma. «I politici volevano assolutamente promuovere i media». Questo perché per essere rieletta una personalità politica ha bisogno delle testate locali.
Ma chi approfitterà della manna federale, se la normativa dovesse superare lo scoglio popolare il prossimo 13 febbraio? (ipotesi, questa, per ora respinta dai sondaggi). Stando a Zimmermann fra grandi e piccoli editori si è creato un rapporto del 50-50%. «Alla fine la metà dei soldi andrà ai cinque gruppi principali - Ringier, TX Group, CH-Media, Somedia e NZZ - e l'altra alle aziende minori». I piccoli giornali locali di annunci non riceveranno invece nulla, «perché il più grande editore nel segmento è Christoph Blocher» e non lo si voleva sostenere, argomenta l'esperto.
Per Zimmermann si sono superati i corretti limiti finanziari. Dall'inizio della pandemia sono scomparsi solo due piccoli giornali di annunci locali, uno in Vallese e l'altro a Basilea. «Detto altrimenti, il panorama mediatico è relativamente stabile». Stando alle stime dell'ex imprenditore nel 2021 i tre più grandi gruppi editoriali elvetici hanno realizzato complessivamente un utile operativo di 320 milioni di franchi. «Devono veramente essere ancora sostenuti dallo stato?», si chiede.
Ma che dire del fatto che questi gruppi sono attivi anche in altre attività, come gli annunci? Il modello d'affari non è cambiato molto, risponde l'esperto: anche in passato se si considerava solo le attività giornalistiche non si guadagnava molto. «I soldi nei media non sono mai stati fatti con il giornalismo: questo è stato sovvenzionato da altri comparti, non è niente di nuovo».
Vero è comunque che la crisi del coronavirus ha portato a grandi cambiamenti. «Abbiamo vissuto del giornalismo pro-governativo che prima non pensavamo possibile, sull'altro fronte giornalismo aggressivo che in altri tempi non si era mai visto». Secondo Zimmermann una cronaca degli avvenimenti in linea con l'esecutivo federale è stata fornita dalle emittenti SRG SSR, da Ringier (Blick) e dai giornali legati al Tages-Anzeiger; sull'altra sponda si sono viste testate critiche come la Neue Zürcher Zeitung (NZZ) e la Weltwoche, nonché alcuni siti online molto critici.