Il calvario di Giulia C., 30enne ticinese affetta dalla sindrome di Sharp: «In Svizzera un’inutile serie di ipotesi. Ora mi curo nei Balcani»
LUGANO - Quattordici anni di dolori, febbri, paralisi improvvise. Centinaia di ipotesi astruse senza avere una diagnosi. Poi, una vacanza a Nis, in Serbia, lo scorso mese di agosto. L’ennesimo svenimento. E tre giorni e mezzo di analisi in ospedale, sul posto. Con una sentenza lapidaria: “Lei ha la sindrome di Sharp”. La storia di Giulia C., 30enne di Lugano, ticinese doc, sembra incredibile. E se non fosse per le decine di documenti che la certificano, verrebbe più di un dubbio a sentirla. «Le migliori strutture svizzere non hanno saputo scoprire cosa avevo – dice –. Mentre un ospedale serbo ha individuato la malattia in poco più di tre giorni. Ora sto continuando a curarmi nei Balcani».
Sedia a rotelle - Una malattia autoimmune. Nella sindrome di Sharp il sistema si auto distrugge. I capillari, le vene, i tessuti si deteriorano, causando grossi scompensi all’organismo. «Ho avuto tante emorragie interne in questi anni. A un certo punto sono pure finita sulla sedia a rotelle, perché i nervi erano troppo infiammati. Provavo dolori atroci. E mi sentivo dire dai medici che era tutta una questione mentale».
Ipotesi infondate - Giulia C. è una ragazza che ha sempre praticato attività sportiva. Non beve alcol. Non ha mai fumato. «Eppure più volte i medici svizzeri hanno ipotizzato che i miei problemi fossero dovuti al consumo eccessivo di sostanze alcoliche o al fumo. A Zurigo ho pure fatto un esame per un possibile sospetto di tumore al cervello. Dopo un anno, sto ancora aspettando il responso».
L’esame decisivo - Responso che, ovviamente, ora a Giulia non serve più. «Ho la sindrome di Sharp. L’hanno confermato anche gli esami fatti in Ticino, a settembre, al mio ritorno. In Serbia, tramite una biopsia, a un certo punto hanno capito che i miei tessuti non erano a posto. Sono andati a fondo, hanno individuato l’infiammazione. Mi hanno tolto parti di muscolo, di nervo, di vena. E mi chiedo: perché in 14 anni in Svizzera non è stato fatto altrettanto?»
Viva per miracolo - Domanda non da poco se si considera che la sindrome di Sharp, malattia rara da cui non si guarisce, ha più probabilità di essere curata e gestita se individuata entro due anni. «Il medico serbo è stato chiaro. Mi ha detto che è già un miracolo che io non sia morta in tutto questo tempo».
Navigazione a vista - Già, il tempo. Per Giulia ora ha un valore relativo. «Navigo a vista. Ogni mese devo fare gli esami per valutare la situazione. In base ai risultati, i medici decidono il dosaggio dei farmaci. Attualmente prendo 12 pastiglie al giorno, soprattutto anti infiammatori. Le analisi le faccio in Serbia. Perché lì i risultati te li danno entro fine giornata. In Svizzera devo aspettare dieci giorni ogni volta, e non me lo posso permettere. Non nella mia situazione».
Infezione in sala operatoria - Ma da dove arriva la sindrome di Sharp? Stando agli specialisti in alcuni individui ci sarebbe una predisposizione genetica. «Mi hanno spiegato che se nella vita subentra un fattore scatenante, questa predisposizione si attiva». Per Giulia il fattore scatenante è arrivato a 16 anni. Una banale operazione al ginocchio, dopo un incidente in moto. «In sala operatoria ho preso un’infezione. E nell’80% dei casi la sindrome di Sharp arriva proprio da un’infezione. Questi ragionamenti li faccio adesso con lucidità. Solo perché il processo mi è stato spiegato in Serbia. All’epoca i dottori davano tutto per scontato. E infatti io non avevo mai fatto il collegamento tra quell’infezione e la mia malattia misteriosa».
Cortisone - Giulia mostra la sua documentazione. Per ben quattro volte è stata sottoposta a test psichiatrici. «E sono sempre risultata sana di mente. Mi davano della malata immaginaria. Se penso a quello che ho dovuto passare, mi sento presa in giro. A 21 anni mi sono sentita male e per un’ora il mio corpo è rimasto paralizzato. Sapete cosa mi hanno fatto? Un’iniezione di cortisone».
Rimborsi - La 30enne luganese, per sua fortuna, è riuscita a ottenere una copertura da parte della cassa malati per tutte le cure e i medicamenti ricevuti in Serbia. «Le assicurazioni non si sono ancora espresse sul futuro. Però accettano la diagnosi. E se non si trova uno specialista competente in Svizzera, probabilmente dovranno continuare a rimborsarmi almeno parte delle cure in Serbia».
Perdita di fiducia - È una situazione estenuante, quella di Giulia C. «Il fatto è che da noi, a casa mia, non saprei più a chi rivolgermi. Non mi fido più di nessuno. Le assicurazioni mi hanno consigliato di portare alla luce il problema. Sto valutando se ricorrere alle vie legali. Al momento devo pensare soprattutto alla mia salute. Se la situazione non migliora, potrebbe essere necessario un trapianto di sangue».
Il presidente dei medici - Franco Denti, presidente dell’Ordine dei medici ticinesi, interpellato sulla questione, decide di non esprimersi nel dettaglio. «La vicenda è strana – si limita a constatare –. Se alcune affermazioni di questa giovane fossero vere, sarebbe davvero grave. Mi piacerebbe vedere il dossier completo della paziente».
Il problema - Beatrice Reinmann, coordinatrice dell’Associazione Malattie Genetiche Rare Svizzera Italiana, invece, non si sorprende più di tanto. «Purtroppo abbiamo già sentito diverse storie simili. Ma la realtà è che non si può dare la colpa a nessuno. Queste malattie sono chiamate rare proprio perché non sono molto conosciute. A volte i medici generalisti fanno fatica a individuarle, altre volte pensano che si tratti di ipocondria. Alcune malattie poi sono ancora più rare di altre. È più facile inquadrare la questione se nella famiglia del paziente ci sono già stati casi analoghi».
Un tema caldo - Secondo Reinmann si tratta anche di un problema di informazione. «In generale si sa ancora poco di queste malattie. Noi cerchiamo costantemente di sensibilizzare i medici e l’opinione pubblica. Il tema è di stretta attualità a livello federale. È in corso la discussione sul piano nazionale sulle malattie rare. Ci sono alcune malattie che non sono ancora riconosciute dalle casse malati e dall’assicurazione invalidità. Questo non deve più accadere. Inoltre si dibatte sulla creazione di centri di riferimento per le malattie rare sparsi per il Paese. È importante che se ne parli anche in ambito politico».