Il piccolo dramma quotidiano di chi soffre di disturbo ossessivo compulsivo. Un problema alimentato da una società sempre più esigente e frenetica. E alcuni perdono pure il posto di lavoro
BELLINZONA – Tutti i giorni si presentava sul lavoro con 45 o 50 minuti di ritardo. Per mesi. Fino al licenziamento. Dietro ai ritardi di Enrico (il vero nome è noto alla redazione), operaio 43enne di Bellinzona, c’è una motivazione apparentemente banale. Prima di uscire di casa, doveva assicurarsi per bene che i rubinetti e le porte fossero chiusi, che gli apparecchi elettronici fossero spenti. Enrico solo dopo il licenziamento ha preso coscienza della sua situazione. E si è reso conto di soffrire di disturbo ossessivo compulsivo, un problema che oggi coinvolge dal 2 al 3% degli svizzeri. «Un disagio – evidenzia Michele Mattia, presidente dell’Associazione della Svizzera Italiana per l'ansia, la depressione e i disturbi ossessivi compulsivi – sempre più accentuato dai ritmi frenetici e stressanti del mondo moderno».
Rituali strani – Sono persone che conducono una vita normalissima. Madri e padri di famiglia. Uomini e donne in carriera. Ma che vivono un’incertezza di fondo. Gli ossessivi compulsivi escono allo scoperto. Su invito della stessa associazione presieduta da Mattia. «Abbiamo a che fare con gente che si sente spinta a svolgere rituali apparentemente senza senso. Si va dalla necessità di controllare qualsiasi cosa al desiderio irrefrenabile di pulire. E c’è anche chi si perde con dubbi e domande ripetitive. Questo genere di comportamento causa grande sofferenza sia nella persona, sia negli affetti. A volte i famigliari son esausti perché non sanno come gestire simili situazioni».
Un mondo ordinato e perfetto – Dall’inventore Nikola Tesla al riformista Martin Lutero, la storia è piena di casi illustri confrontati con il disturbo ossessivo compulsivo, problema diagnosticato per la prima volta nel tardo diciannovesimo secolo, ma da sempre radicato nell’esistenza dell’uomo. «Il fatto che oggi si viva in una società dell’ordine e del controllo – riprende Mattia – rappresenta un ulteriore stimolo negativo per chi è già fragile. Anche la storia personale dell’individuo ha un influsso. Di base c’è comunque una predisposizione genetica».
Deprogrammare un atteggiamento – «È un disturbo da cui si può guarire – sostiene lo psichiatra Tazio Carlevaro –. A condizione di impegnarsi a fondo. Non è una passeggiata. Perché bisogna letteralmente deprogrammare determinati atteggiamenti, radicati nel corso degli anni. Il percorso richiede tempo e pazienza. Spesso è accompagnato da una cura farmacologica».
Paura dei cambiamenti – Un male che esiste da sempre. Declinato (e accentuato) in versione moderna. Selene, 38 anni, è seguita da uno psicologo da diverso tempo. «La mia ossessione è legata ai cambiamenti nel mondo del lavoro. Ho paura che si verifichino rivoluzioni tali per cui io possa essere un giorno licenziata. Soffro di questo disagio da ormai 15 anni. E i miei dubbi mi hanno spesso portata ad assillare colleghi e amici, con continue richieste di conferma e rassicurazione».
Consigli pratici – «Chi sta vicino a queste persone – dice Carlevaro – deve evitare di dare loro sempre le risposte che si attendono o di eseguire con loro i riti richiesti. Perché così si fa il gioco dell’ossessione. Bisogna aiutare l’ossessivo compulsivo responsabilizzandolo. Dicendogli: “Tu sei in grado di avere la risposta da solo. Sei capace di farcela con le tue gambe”. Solitamente l’ossessivo compulsivo riesce a rendersi conto di quanto gli sta accadendo. Capisce che ciò che fa è inutile e nocivo. Ma non riesce a smettere».
Rischi già a 12 anni – Il problema, secondo la scienza, è di natura neuro psicologica. «Legato all’ipotalamo – puntualizza Carlevaro –. Si tratta di una parte particolare del cervello che in determinate circostanze non è in grado di bloccare certi pensieri. Sviluppando un comportamento non più adeguato al principio di realtà. Alcuni iniziano a soffrirne già a 12-15 anni. Tanti ragazzi vengono nel mio studio e dicono che non vogliono più andare a scuola. Magari per motivi assurdi. Come ad esempio la paura di toccare qualcosa che li sporchi».
L’incubo di fare del male a qualcuno – Giuliano, 33 anni, ha impiegato l’ultimo decennio a staccarsi da un’ossessione apparentemente fuori da ogni logica. «Quando guardavo la strada dal finestrino dell’auto, mi soffermavo a contare le strisce tratteggiate che separano una carreggiata dall’altra. Dal momento in cui iniziavo a contarle, sentivo che dovevo per forza arrivare fino a 100. Mi mettevo in testa che altrimenti mia madre sarebbe morta. Un pensiero limitante, che a tratti mi spingeva a non uscire di casa. Per paura. Con il passare degli anni, sono riuscito ad affrontare la cosa. Andavo sul posto e mi sforzavo di non contare. Il mio terapeuta mi ha sempre consigliato di affrontare le paure a viso aperto, con normalità».
Un investimento importante – Si è preso il tempo giusto, Giuliano. Tempo che, in questi casi, è il bene più prezioso. Ma che, sempre più spesso, mondo del lavoro ed economia non concedono al paziente. «Purtroppo – sottolinea Mattia – i ritmi frenetici della nostra società non ci aiutano. Occorre, tuttavia, pensare prima di tutto al proprio equilibrio. Superare questo disturbo presuppone una grande fatica. Ma ne vale la pena. È un investimento fondamentale per la qualità di vita dell’individuo».