Dati epidemiologici suggeriscono che le differenze tra i sessi siano legate al diverso funzionamento degli ormoni.
Una delle proteine utilizzate dal virus SARS-CoV-2 per infettare le cellule sarebbe regolata dal recettore degli ormoni maschili. Una possibile terapia è già in cantiere.
BELLINZONA - Dopo il primo caso di Covid-19 diagnosticato in Ticino a febbraio, i casi registrati in Svizzera sono diventati più di 21'000 al 6 aprile. Se rapportato alla popolazione totale, la Svizzera ha al momento il numero più alto di casi diagnosticati in Europa (252 su 100'000 abitanti. E tale rapporto è ancora più alto per il Ticino (715 su 100'000). «Si tratta - precisano l'Istituto oncologico di ricerca (IOR) e dell’Istituto di ricerca in biomedicina (IRB) - chiaramente di un’emergenza sociale e sanitaria di dimensioni enormi». La tragedia diventa ancora più evidente se consideriamo i decessi: se rapportiamo il numero del Ticino alla popolazione per esempio della Germania, risulterebbe che a oggi questo paese avrebbe già dovuto registrare tra i 35-40'000 decessi, invece dei circa 2'000 avuti sinora.
E proprio osservando i dati delle persone morte, appare subito chiara la differenza di letalità tra uomo e donna. «Stiamo lavorando - precisano i ricercatori dei due istituti - per capire la differenza d'incidenza e soprattutto di severità del Covid-19 nelle diverse fasce di età tra uomini e donne».
Dati epidemiologici suggeriscono che le differenze tra i sessi siano legate al diverso funzionamento di ormoni e recettori ormonali tra uomini e donne. «In particolare - sottolineano IOR e IRB - da esperimenti preliminari di biologia molecolare, sembra che una delle proteine utilizzate dal virus SARS-CoV-2 per infettare le cellule sia la TMPRSS2 che è regolata dal recettore degli ormoni maschili».
Questa proteina è anche coinvolta in tumori ormono-dipendenti, come il cancro alla prostata, uno dei temi fondamentali di ricerca allo IOR, e nuovi dati appena generati nei laboratori bellinzonesi indicano che le cellule epiteliali del polmone, suscettibili al virus SARS-CoV-2, esprimono i recettori per gli ormoni maschili. «Per questo ricercatori dei due istituti hanno deciso di unire le forze per sviluppare una possibile terapia anti-Covid-19, combinando l’inibizione diretta della proteina con molecole già note, assieme a farmaci antitumorali ormonali usati correntemente nella terapia del tumore alla prostata». Questo, viene precisato - permetterebbe di “attaccare” TMPRSS2 da due parti, impedendone il funzionamento. L’uso poi di farmaci già presenti sul mercato permetterebbe di rendere il trattamento, qualora si rivelasse efficace, subito disponibile.
L’ipotesi dei ricercatori bellinzonesi sembrerebbe suffragata anche dai primi dati inviati dagli oncologi di Wuhan in Cina, con i quali è stato stabilito uno stretto contatto, e che sembrerebbero indicare un’incidenza molto bassa d'infezione da COVID-19 in pazienti con carcinoma della prostata trattati con le succitate terapie anti-ormonali.
Per ampliare la ricerca scientifica, avviata nei laboratori dello IOR e nell’Unità di biologia strutturale computazionale dell’IRB, e per poter a termine arrivare a uno studio clinico adeguato, sono state inoltrate domande di finanziamento sia al Fondo Nazionale Svizzero per la Ricerca che ad altre fondazioni.