Alla clinica di Novaggio 17 pazienti in riabilitazione post-Covid. Ne abbiamo intervistato uno
Il racconto di un 73enne: «Sono svenuto e da allora vuoto totale. Un grande grazie ai medici»
NOVAGGIO - I prati assolati, le vigne circondate dal bosco, il monte Lema alle spalle. È quello che vedono i pazienti Covid-19 dopo essere usciti dal coma. Nel paesaggio bucolico di Novaggio, la clinica di riabilitazione dell'EOC ne ha ospitati 17 finora.
Sono i primi "risvegliati" del coronavirus. Sommati agli ospiti della clinica privata Hildebrand di Brissago - 14, fanno sapere dall'Eoc - una trentina di persone in tutto. Intraprendono un lungo e paziente percorso, fatto di riposo e fisioterapia, in attesa di tornare - senza fretta - alle proprie case e alla vita di prima.
Alcuni ci sono già arrivati, ma si contano sulle dita di una mano. «È tutto molto difficile, non bisogna correre» racconta E.C., 73 anni. È rincasato il 19 aprile, giorno del suo compleanno. Lo ha festeggiato riabbracciando i cari, ma senza esagerare. «Sono ancora molto debole e devo stare attento».
E.C. è arrivato a Novaggio il 2 aprile dall'ospedale La Carità, ed era l'unico ospite assieme a un altro paziente (arrivato il giorno prima). «Quando me ne sono andato la struttura era piena» racconta. «Per me è la fine di un incubo. Anche se il personale sanitario è stato molto professionale e il servizio di altissimo livello».
La presa a carico nelle cliniche post-Covid non è una passeggiata. Dura in media tre settimane. In base alle risoluzioni governative, a Novaggio i posti letto messi a disposizione sono 14, ma «possono essere aumentati in base alle necessità» fanno sapere dall'Eoc. I pazienti vengono ripartiti tra Novaggio e Brissago «in modo equo e in base alle competenze scientifiche delle due cliniche». Entrambe sono comunque attrezzate per accogliere in sicurezza i pazienti Covid.
È l'ultimo miglio, in una gara con il virus che inizia molto prima. Il fischio d'inizio, per E.C., sono state le avvisaglie classiche - tosse e febbre - agli inizi di marzo. Dopo una settimana circa, l'11 marzo, il crollo: «Mio marito si è alzato una notte, è andato in cucina per prendere uno sciroppo ed è svenuto» racconta la moglie 60enne, ammalatasi prima ma con sintomi lievi.
Dopo lo svenimento, E.C. non ricorda più nulla. «Vuoto totale, e forse è meglio così». È la consorte a ripercorrere l'odissea. «Si è ripreso ma dopo poco ha smesso di parlare, sembrava come assente. Abbiamo chiamato l'ambulanza e l'hanno portato a Locarno».
Da allora la famiglia non ha più potuto vedere E.C., fino a domenica. Quasi un mese esatto. «Le telefonate dall'ospedale erano una tortura. Non arrivavamo mai, e temevamo sempre che arrivasse la chiamata brutta. Per fortuna non è arrivata» ricorda la moglie.
In coma farmacologico dal 16 marzo, il 73enne ne è uscito gradualmente, a partire dal 24 marzo. Il 30 marzo torna a respirare senza ventilatore, e la moglie sente di nuovo la sua voce al telefono. «Non era ancora del tutto cosciente - racconta - ma è stato un enorme sollievo».
Ora è tornata una normalità diversa. «In casa utilizziamo le mascherine e i guanti, teniamo le distanze» racconta E.C. E non si guardano più i telegiornali «per evitare le notizie negative». Al lieto fine il 73enne aggiunge un appello: «La mia storia è positiva, grazie a Dio, ma le regole vanno rispettate».