Dopo il caso del 50enne iperattivo penalizzato dall’AI, lo psichiatra Orlando Del Don attacca il "sistema".
«Oggi – tuona – basta una telefonata o uno scritto all'ente assicurativo ed ecco che scatta il pedinamento. Ed è normale trovare comportamenti sospetti, seppure infondati».
BELLINZONA - Ormai, quella verso i falsi invalidi, è diventata una crociata. Giusta, per carità. Anche se poi accadono situazioni tristi come quella recentemente raccontata da Tio/20Minuti. Con un 50enne soggetto a rendita AI parziale, incastrato dai periti perché troppo "euforico". «Questo sistema inquisitorio non funziona più – sostiene lo psichiatra Orlando Del Don –. È ora di mettersi tutti quanti a tavolino e trovare delle soluzioni».
Negli ultimi anni si assiste a una sorta di caccia alle streghe. Perché?
«Da circa un anno è possibile fare segnalazioni anonime alle autorità tramite filmati o fotografie. Prima non era permesso. La situazione è rapidamente mutata. Basta una telefonata o uno scritto all'ente assicurativo ed ecco che scatta il pedinamento. Chiunque di noi, anche la persona più giusta e onesta al mondo, se pedinata per una settimana, potrebbe infatti dare adito a dubbi e sospetti infondati».
Il problema dei falsi invalidi, tuttavia, esiste. Non può essere trascurato.
«Certo che esiste. Ma i falsi invalidi, prima di tutto rappresentano una minoranza. In secondo luogo, i veri falsi invalidi raramente vengono presi. Perché hanno una mente perversa. Pianificano, premeditano. Finiscono nei pasticci i poveri ingenui, quelli sì».
Cosa ci si aspetta da una persona in AI?
«L'assicurazione federale di invalidità è nata per venire incontro a situazioni esistenziali difficili. Il suo scopo è quello di garantire mezzi esistenziali agli assicurati nel caso diventino invalidi, e questo con provvedimenti di integrazione o prestazioni pecuniarie. Ciò non significa però che la persona che beneficia di una prestazione assicurativa debba starsene per forza confinata in casa a guardare il soffitto. Ci sono persone che hanno bisogno di fare tante cose per colmare la tristezza, l'ansia, la paura, l'angoscia, lo sconforto, i disturbi psicotici e altro ancora. Non è possibile che assicurazioni e periti assicurativi non tengano conto di questi aspetti esistenziali fondamentali e prioritari».
Anche perché poi l'AI stessa vorrebbe che il beneficiario di una rendita, prima o poi, si rimetta in gioco, o no?
«Appunto. Una volta chi aveva l'AI non aveva più sbocchi. Ora ci sono le riqualifiche, eccetera. Non confondiamo la voglia di dare ancora un senso alla propria vita con il desiderio di imbrogliare».
Di chi è la responsabilità, a suo avviso?
«Degli assicuratori e dei periti assicurativi, che non garantiscono l'indipendenza di giudizio nel loro lavoro. L'impressione, inoltre, è che negli anni d'oro si siano concesse rendite troppo generose. E ora, invece, si voglia per forza introdurre un giro di vite, anche nei casi in cui è inopportuno».
Da psichiatra come vive questa situazione?
«Male. Ovviamente. Gli assicuratori ci guardano dall'alto in basso. E si dimenticano troppo spesso che un problema fisico può facilmente diventare un problema psichico. Non è perché un invalido va a fare una corsa nel bosco che deve essere perseguitato. Il problema è che gli assicuratori e i periti hanno il coltello dalla parte del manico. E non hanno interesse a cambiare le cose. Forse è davvero giunto il momento di cambiare registro, a livello istituzionale, politico e sociale».
Qualche alleato?
«Molti enti associativi, esponenti politici e professionisti della salute sono concordi con quanto sto portando avanti da anni in favore di una gestione più trasparente, equa e rispettosa dei diritti e dei bisogni degli assicurati onesti. In particolare citerei un professionista che stimo particolarmente e da tutti rispettato e ascoltato come Bruno Cereghetti, già granconsigliere e già capo dell'Ufficio assicurazione malattia del Dipartimento Sanità e Socialità ticinese».