L'esperto Marco Garbani evidenzia quelle che sono, a suo dire, le lacune e le incoerenze della normativa
«È un lavoro immane per l'esercente. Davvero non ci sarebbero modalità più semplici? Per esempio imporre la mascherina quando si è in piedi (come nei negozi e negli uffici dello Stato)?».
LUGANO - La ripresa dei dati di un avventore che «deve fornire a terzi e quarti il numero telefonico (e l’indirizzo) solo per bere una cioccolata» è lecita? Al quesito, che sta facendo nascere anche qualche battibecco nei bar e nei ristoranti, risponde oggi, sulla propria pagina facebook Gastrodiritto, l’avvocato Marco Garbani. Un parere personale, certo, ma assai qualificato visto che arriva dal responsabile dell’Ufficio giuridico di GastroTicino.
Manca la base legale - Il primo ostacolo sollevato da Garbani riguarda una lacuna evidente: «Se eccettuiamo la notifica degli ospiti che pernottano, il Ticino - scrive l’esperto - non possiede una base legale valida che possa imporre a privati la ripresa di dati personali, rispettivamente ai cittadini di doverli fornire». Il fatto non è secondario visto che un’analoga ripresa dei dati era stata richiesta subito dopo il lockdown dall’Ufficio federale di sanità pubblica, ma proprio la mancanza di tale base legale obbligò il Consiglio federale a fare marcia indietro. Garbani cita le dichiarazioni fatte in quell’occasione, il 19 maggio scorso, dall’Incaricato federale per la protezione dei dati, secondo cui «l’obbligo diretto o indiretto di fornire ed elaborare dati di queste persone rappresenta un’ingerenza della sfera privata e della loro autodeterminazione in materia di informazione, il che è in contrasto con il principio della proporzionalità».
I Cantoni sapevano - Secondo il parere pubblicato da Gastrodiritto neppure la presunta situazione straordinaria può essere fatta valere. «Nell’attuale stato pandemico non ci troviamo di fronte ad un fattore imprevedibile: ancora il 12 ottobre 2020 l’onorevole Berset ha confermato che i Cantoni sapevano già dal mese di maggio della possibile seconda ondata ed hanno avuto tutto il tempo per preparare le varie modalità di contact tracing». Eppure, da maggio, «il Consiglio di Stato non ha suggerito modifiche o nuove basi legali al Gran Consiglio».
Normativa sproporzionata - Ma, e questo è il punto chiave secondo Garbani, se anche ci fosse «una base legale che imponga la ripresa e la consegna di dati personali, la normativa cozzerebbe contro il principio della proporzionalità». Si tratta, argomenta l’avvocato, di «un lavoro immane per l’esercente: organizzare la ripresa e la tenuta dei dati, suddividerli per giorno ed orari, disinfettare penne, spiegarlo ai clienti e al personale, eccetera. Il tutto ha pure un costo: chi lo paga? Un balzello giustificato sulla scorta di un settore che nell’arco dell’anno non naviga nell’oro?». Secondo Garbani, la risposta è no: «Davvero non ci sarebbero modalità più semplici? Per esempio imporre la mascherina quando si è in piedi (come nei negozi e negli uffici dello Stato)? Proprio la possibilità di altre modalità meno onerose denotano che il provvedimento è sproporzionato».
Più logica la mascherina - Anche lo scopo che si vuole raggiungere, secondo Garbani, non appare comprensibile. «Negli esercizi pubblici già esiste il tanto decantato distanziamento dei tavoli. Quindi, per coerenza, tra tavoli non ci si infetta quando ci si siede». Più logico, aggiunge, «sarebbe stato l’obbligo della mascherina mentre ci si sposta all’interno del locale (come, appunto, nei negozi). Ma non solo. La ripresa dei dati pare essere contraddittoria e non avere un senso pratico. Se X risulta infetto e dichiara di essere stato al ristorante R che succede? Si prendono tutti i dati del ristorante R e si mettono automaticamente in quarantena tutte le persone che erano presenti, sebbene avessero le distanze sociali tra i tavoli?».
Disparità con i mezzi pubblici - Infine, conclude Garbani, la faccenda traballa anche sotto il profilo della parità di trattamento: «Le infrazioni che oggi avvengono nei mezzi pubblici sono note e si finge di non vederle. Abbiamo casi concreti di Lugano (pensilina Botta) e Locarno (Stazione) dove la polizia era presente ma non voleva vedere gente accatastata nei bus, in parte senza mascherina. Più volte se ne è parlato pure nei giornali».
Massimo Suter di Gastroticino: «Fa specie che la mascherina sia ritenuta sufficiente sui bus affollati»
Al parere, personale, dell’avvocato Garbani, si aggiunge parecchia perplessità sul sistema della raccolta dati anche da parte dei vertici di GastroTicino: «Così come proposto risulta alquanto complicato per una larga fetta di ristoratori, specialmente nei bar dove c’è la toccata e fuga del cliente. Senza dimenticare una certa reticenza da parte dell’avventore stesso» dice il presidente Massimo Suter. «Fa un po’ specie - continua - che la mascherina sia ritenuta sufficiente sui mezzi pubblici dove i viaggiatori sono ammassati. Ci vedo una certa incoerenza di applicazione di determinate regole. Il nostro non vuole però essere un rifiuto al garantire la sicurezza del cliente, ma piuttosto uno stimolo per cercare delle soluzioni pratiche, applicabili». E la mascherina obbligatoria per spostarsi al tavolo distanziato, e quindi sicuro, pare essere la soluzione più gradita agli esercenti.