La risposta è sì. A Locarno arriva Nicola Lagioia, l'autore di "La città dei vivi".
Ha trascorso gli ultimi quattro a ricostruire uno dei delitti piu atroci di cronaca nera.
LOCARNO - “Abbiamo sempre dentro di noi un mostro che esce fuori di tanto in tanto”. Per qualcuno quel mostro è stato talmente grande che ha portato a uccidere. È il caso di Marco Prato e Manuel Foffo, due ragazzi romani che la notte del 4 marzo del 2016 sotto effetto di droghe e alcol, seviziarono brutalmente e uccisero il 23enne Luca Varani, senza un apparente motivo. Un delitto che ha fatto scorrere fiumi d’inchiostro in Italia e che è l’argomento centrale del libro “La città dei vivi”, scritto da Nicola Lagioia, giornalista, scrittore e direttore del Salone Internazionale del Libro di Torino che domani sarà a Locarno nell’ambito della rassegna “L’immagine e la parola” (rassegna rigorosamente in streaming vedi box in fondo). Ed è proprio all’autore del libro che chiediamo come ci si trasforma in assassini.
Marco e Manuel erano due ragazzi normali, di buona famiglia. È davvero così veloce il passaggio dalla normalità alla mostruosità? Abbiamo tutti dei piccoli mostri dentro di noi?
“Abbiamo sempre dentro di noi un mostro che esce fuori di tanto in tanto, ma non per ammazzare qualcuno. Solitamente consideriamo un mostro colui che uccide. Lo facciamo per tranquillizzarci e ci diciamo che non saremo mai come lui. Senza aver bisogno di diventare degli assassini, facciamo spesso e volentieri del male a chi ci sta vicino. Purtroppo ragioniamo in maniera categorica: ci sono i buoni, e ci sono i cattivi. Noi ci infiliamo sempre nella prima categoria. Tendiamo a dimenticare che esistono anche le scale di grigio. Quanto più noi ci autorappresentiamo come vittime, e non anche come persone in grado di ferire, tanto più ci ritroviamo a fare del male senza neanche rendercene conto”.
Si è mai chiesto perché lo hanno fatto?
“Mi sono fatto tante domande. E mi sono dato poche risposte. In fondo la letteratura ha il compito di sollevare domande giuste piuttosto che fornire risposte sbagliate. I libri non servono a dare spiegazioni. A ciascuno di noi è capitato una volta nella vita di frequentare una persona capace di tirare fuori il peggio di noi o viceversa. Ed è quello che è accaduto a Manuel Foffo e a Marco Prato, due ragazzi che sono contemporaneamente manipolatore e manipolato, incubo e succubo di una spirale che si avvita generando il peggio di sè. Non c’è una spiegazione unica e lineare. Ci sono tanti elementi messi insieme, la droga, l’alcol, i problemi familiari, la frustrazione personale, la casualità di un incontro, che concorrono a far sì che sia successo questa tragedia”.
Come mai il delitto Varani ha appassionato cosi tanto l’opinione pubblica?
“Innanzitutto per l’estrema violenza dell'omicidio. Luca Varani è stato ucciso con oltre 100 colpi tra coltellate e martellate. I carabinieri che hanno avuto modo di vedere il cadavere, quindi persone abituate a fatti cruenti - hanno raccontato che sembrava quasi un’uccisione rituale. Un secondo fattore d’interesse è stata la totale mancanza di un movente. Infine per il fatto che i due assassini erano persone del tutto normali, che fino a pochi giorni prima mai avrebbero immaginato di poter commettere un omicidio del genere”.
Marco e Manuel, due ragazzi normali, che facevano uso di droghe e alcol. Marco e Manuel secondo lei sono due eccezioni o il fenomeno è molto più diffuso di quanto si creda?
“Quando si parla di droghe si generalizza troppo. C’è parecchia disinformazione, soprattutto fra i giovani. Credo che per quanto riguarda gli stupefacenti a livello d'informazione stiamo come stavamo con l’educazione sessuale negli anni cinquanta. Sarebbe auspicabile una maggiore conoscenza. Già il fatto che consideriamo un tossico, un mezzo criminale, anziché un malato, la dice lunga. I ragazzi fanno uso di droghe. Ci sono quelli che lo fanno per distruggersi, quelli che la usano in maniera consapevole. Le droghe sono tante e non sono tutte uguali. Non facciamo di tutta l’erba un fascio”.
Come giudica il comportamento della stampa italiana di fronte ai casi di cronaca nera?
“La stampa italiana purtroppo ha il difetto della fretta. E con la fretta è inevitabile finire per commettere degli errori. Una maggiore cautela sarebbe buona cosa. Ma il vero problema della stampa in Italia è che è diventato sempre più difficile fare inchieste. I giornali hanno perso tanti lettori, quindi hanno meno risorse, e di conseguenze hanno meno soldi. Se volessi scrivere un reportage e avessi bisogno di due mesi per raccogliere tutti gli elementi per la mia inchiesta, nessun giornale mi pagherebbe per due mesi. L’inchiesta dovrò farla a spese mie. Così hanno fatto illustri giornalisti”.
Nel libro emerge anche il peso del giudizio degli altri. I due assassini in carcere si preoccupano di cosa dicono i social su di loro. Marco Prato chiede al padre cosa scrivono di lui su facebook. Manuel Foffo chiede al fratello se la gente pensa che sia gay. Non è preoccupante?
“Quanto più uno ha una identità debole, tanto più è sensibile al giudizio esterno. In realtà tutti siamo sensibili al giudizio altrui. Oggi però si è arrivati all’esasperazione: l’accettazione di sé passa attraverso un contesto come quello dei social che è un contesto ultraviolento. Personalmente non ho mai visto nella vita reale così tanta violenza verbale e così tanta crudeltà come sui social. I nativi digitali purtroppo crescono con questo modello. Guardo con preoccupazione a queste dinamiche. Ritengo che se la comunità reale in cui viviamo ha delle basi fragili, finisce per dare troppa importanza a quella virtuale. Il problema è che la realtà virtuale non funziona secondo regole di empatia, bensì per ondate di approvazione e disapprovazione violentissime”.
Ha definito la rete “emotività senza freni”.
“Lo abbiamo visto e lo vediamo continuamente: di fronte a un delitto i social fanno uscire il peggio di sè, fanno venire fuori lo schifo degli esseri umani”.
La violenza piace al pubblico. Piace nei film. Nei giochi elettronici. C’è qualcosa di affascinante anche per lei?
“No, non c’è nulla che mi affascina della violenza. La detesto. E proprio perché la detesto finisco per studiarla. Però c’è una consapevolezza: la violenza è stata per millenni una garanzia della sopravvivenza della specie. L’uomo per sopravvivere doveva essere violento. Oggi l’essere umano per esistere non ha più bisogno di essere violento, la società si è emancipata dall’istinto di prevaricazione. Eppure ci è rimasto addosso tracce di quella violenza. Dobbiamo imparare ad arginarla e a trasformare la nostra forza negativa in qualcosa di costruttivo”.
La storia di questo delitto è anche la storia di un ragazzo gay. Quanti pregiudizi ha incontrato nel suo percorso attorno al tema dell’omosessualità?
“Mi ha sorpreso molto il fatto che nonostante i gaypride e i tanti discorsi sull’emancipazione sessuale sia ancora molto diffusa una cultura machista che considera l’omosessualità un problema. Mi ha stupito constatarlo perfino nelle nuove generazioni, solitamente più inclini all’apertura mentale”.
“La città della gioia” è uno di quei libri che ti porti addosso anche dopo averlo finito di leggere. Lei per quanto tempo si è portato addosso questo delitto?
“Per quattro anni. Mi sono totalmente immerso in questa storia. Mi addormentavo pensando a loro, e mi risvegliavo con lo stesso pensiero. Una volta terminato il libro ne sono stato gettato fuori. Oggi la guardo dall'esterno, e mi sento più lettore che autore”.
Ospite sabato a Locarno
Nicola Lagioia, direttore del Salone Internazionale del Libro di Torino sarà domani a Locarno per l'ottava edizione de "L’immagine e la parola". Al GranRex incontrerà il direttore artistico del Locarno Film Festival, Giona A. Nazzaro, nell’ambito di una
conversazione dal titolo “La città dei vivi. Reinventare la creazione e la programmazione culturale” che per il pubblico sarà diffusa online sul sito del Festival. Verrà pure presentata la Retrospettiva del Locarno Film Festival, dedicata ad Alberto Lattuada.
Nicola Lagioia (Bari, 1973) ha esordito come scrittore nel 2001 con il romanzo Tre sistemi per sbarazzarsi di Tolstoj (senza risparmiare se stessi). Nel 2015 ha vinto il Premio Strega con La ferocia, (Einaudi). Dal 2010 è uno dei conduttori di Pagina3, la rassegna quotidiana delle pagine culturali trasmessa da Rai Radio 3. Dal 2013 al 2015 è stato uno dei membri del comitato di selezione della Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, mentre nel 2020 ha fatto parte della giuria del concorso principale dello stesso festival. Ha assunto la direzione del Salone internazionale del libro di Torino nel 2017.