Claudio Trentinaglia è ormai una leggenda a Losone. Da giorni in paese non si parla d'altro
I giornali continuano a scoprire nuovi dettagli sulla vicenda del pluri-omicida deceduto lungo la Maggia nel 2015. Resta il mistero sulla rendita d'invalidità
LOSONE - Il signore «che ha ucciso tutte quelle persone» abitava in un appartamento in via Barchee a Losone, zona tranquilla, risparmiata finora dalla cronaca poliziesca e da qualsiasi tipo di cronaca in realtà: ora, dopo le rivelazioni giornalistiche, naturalmente anche i bambini conoscono la storia e additano l'appartamento come si additano i luoghi stregati.
«Sì abitava qui» conferma un vicino di casa di 10 anni. Il nome "Tschanun" fatica a pronunciarlo: ha un che di cupo ed evocativo, sicuramente meno rassicurante di Trentinaglia, Claudio, il simpatico anziano appassionato di giardinaggio e passeggiate, come tutti gli svizzero-tedeschi in pensione.
«Andava ogni giorno in bici lungo la Maggia, giù fino al lido di Ascona» ricorda un'altra vicina, madre di famiglia. «Non so cosa facesse là tutto il tempo, da solo. Era un tipo piuttosto pensieroso». Il 25 febbraio 2015 il 73enne ha fatto il suo ultimo giro lungo il fiume, e non è più tornato a casa: in zona ponte della Maggia «ha perso il controllo della bici cadendo sull'argine di erba sottostante, un volo di alcuni metri» si legge nel comunicato emanato all'epoca da Rescue Media. I media locali pubblicarono la notizia, poi il necrologio; l'associazione "Amici della Montagna" che gestisce la capanna Al Legn sopra Brissago - dove Trentinaglia aveva lavorato per un'estate - lo ricordò durante un'assemblea, e la cosa finì lì.
Se si fosse saputo che l'«anziano ciclista» del comunicato di polizia, il Claudio Trentinaglia del documento d'identità, era in realtà uno dei pluri-omicidi più famosi della Svizzera, l'eco sarebbe stata ben diversa. Ma il circo mediatico è arrivato a Losone con cinque anni di ritardo, per merito della reporter del Tages Anzeiger Michèle Binswanger. «All'epoca dei fatti ero una ragazzina ma ricordo che la vicenda mi colpì molto, come tutti» ha raccontato a tio.ch/20minuti la giornalista. Era il 1986: l'architetto Günther Tschanun, capo della polizia edile della città di Zurigo, uccise a colpi di pistola quattro suoi collaboratori e ne ferì un quinto, a seguito di un esaurimento nervoso. Arrestato in Francia dopo tre settimane di fuga, fu condannato a 20 anni di carcere. Nel 2000 uscì di galera per buona condotta, e di lui non si è saputo più niente.
Finché due anni fa, durante una visita guidata al Museo criminale della Polizia di Zurigo, Binswanger s'imbatte per caso in una voce di corridoio. «La guida ci raccontò che Tschanun era morto in un incidente in bicicletta in Ticino» ricorda. Poteva restare un aneddoto "da museo" non verificato, ma Binswanger fa dei controlli e la voce si rivela fondata. «Il ciclista morto a Losone era proprio lui, il pluri-omicida sparito nel nulla».
La conferma ha richiesto due anni di ricerche e paziente attesa: il Dipartimento di giustizia di Zurigo, a cui la giornalista si è rivolta per chiedere un certificato di morte e una serie di documenti su Tschanun, risponde che «il materiale era protetto da privacy». Il gruppo Tamedia intenta una causa civile, e a gennaio di quest'anno il tribunale concede l'accesso agli atti. «Ho passato il mese successivo a esaminare il materiale e a fare ricerche, anche in Ticino, dove però quasi nessuno era al corrente della verità» autorità comprese.
Ora si è scoperto il perché. Dalle indagini giornalistiche è venuta a galla una copertura organizzata con cura dal Dipartimento di giustizia del canton Zurigo, che per 15 anni ha assicurato a Tschanun sostegno finanziario e una seconda vita sotto un nome fittizio (quello di un prozio). L'ex detenuto riceveva una rendita d'invalidità di 2500 franchi al mese dai servizi sociali di Appenzello Esterno: un cantone in cui non ha tuttavia mai risieduto. I comuni di Ronco sopra Ascona e Losone non ne erano nemmeno al corrente.
«Non aveva alcuna disabilità fisica apparente» raccontano gli ex vicini. «Era molto colto e intelligente, sempre disponibile». Anche per Binswanger la questione della rendita Ai resta un nodo irrisolto. «Bisognerebbe capire come mai gli sia stata concessa, e fino a che punto le autorità si sono spinte per nasconderne la nuova identità» conclude Binswanger. Un'ultima stranezza, in una vita costellata di misteri.