C'è una lettera firmata da una ventina di collaboratori. Sarebbe stato coinvolto pure l'Ispettorato del lavoro.
La direzione: «Irresponsabili illazioni orchestrate per scopi che nulla hanno a che fare con il buon clima vigente all'interno dell'Istituto».
LUGANO - Una situazione insostenibile. È così che si potrebbe descrivere, in estrema sintesi, la percezione sul loro posto di lavoro da parte di alcuni collaboratori della Fondazione Opera Charitas di Sonvico. In particolare, pare che nella casa anziani si respiri un clima di paura e autorità, oltre a un carico alto di stress. La “libertà di espressione” in merito alle condizioni di lavoro verrebbe bloccata dalle minacce di licenziamento, tanto da portare il personale ad accettare inerme qualunque cosa o a decidere autonomamente di rescindere il rapporto di lavoro. La conseguenza sarebbero assenze per malattia legate a sintomatologie psicosomatiche e ricorso a professionisti specializzati anche nella psicopatologia del lavoro. Si parlerebbe pure di nepotismo, oltre che di forza lavoro ticinese con poco potere contrattuale vista l’alta presenza di personale frontaliero.
Over 50 accompagnati alla porta - Una situazione che, in realtà, pare vada avanti da molto tempo. E che viene descritta in una lettera firmata (con tanto di nome e cognome) da una ventina di collaboratori. Un malessere che sarebbe pure sfociato - stando a nostre informazioni - in una segnalazione all’Ufficio dell’ispettorato del lavoro. La “goccia che ha fatto traboccare il vaso” sarebbe arrivata con il recente licenziamento di due collaboratori over 50. Che il loro allontanamento (in almeno un caso oggetto di ricorso) possa essere collegato a tutto questo o meno, non è dato saperlo. Ma di certo ad alcuni è parso come un segnale di “colpire uno per educare molti”. E la paura, soprattutto di esporsi, sarebbe aumentata ulteriormente. Insomma, parlare di malessere presso la Fondazione Opera Charitas di Sonvico sembrerebbe apparire quasi riduttivo.
«Sono solo illazioni» - John Baldi, direttore della casa anziani, respinge le accuse e si distanzia da tutto. «Le segnalazioni cui fa riferimento non corrispondono alla reale situazione vigente all’interno delle strutture della Fondazione Opera Charitas - spiega -. È dunque indubbio che ci si trovi di fronte a irresponsabili illazioni, orchestrate per scopi che nulla hanno a che fare col buon clima di lavoro vigente all’interno del nostro Istituto, tantomeno con gli interessi del personale che vi lavora con encomiabile senso di professionalità e apprezzato spirito di abnegazione». Per trasparenza, informiamo il lettore che Tio/20minuti aveva contattato la direzione anche nello scorso mese di ottobre, a seguito della segnalazione di una “situazione ambigua” relativa al presunto comportamento poco responsabile di alcuni collaboratori nel rispetto delle norme Covid. Il direttore Baldi aveva prontamente risposto alle domande, assicurando di «avere adottato tutte le misure di protezione imposte» in accordo con il medico cantonale, per continuare a «operare in tutta sicurezza tanto per il personale che per gli ospiti». Ma non aveva nascosto di non aver gradito che l’episodio fosse uscito dalle mura della casa anziani: «Le illazioni che sono state imprudentemente e irresponsabilmente diffuse sono oggetto di attenta valutazione da parte dei responsabili dell’Istituto - aveva voluto precisare -, in vista d’intraprendere opportuni provvedimenti a tutela del buon nome e dell’onorabilità dello stesso Istituto e dei suoi diretti collaboratori».
Alla ricerca di un dialogo tra le parti - I sindacati VPOD e OCST, da noi contattati, confermano di avere ricevuto delle segnalazioni relative alla gestione del personale. E di essere alla ricerca di un dialogo costruttivo con la Commissione del personale e la direzione. Dal canto suo, l’Ufficio dell’ispettorato del lavoro - “responsabile della salute fisica e psichica dei lavoratori” - non conferma né smentisce il suo intervento, ma fa sapere di «non essere autorizzato a informare terzi in merito alla sua attività». Stessa risposta giunge dal Laboratorio di psicopatologia del lavoro dell’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale (OSC), «tenuta al segreto professionale nei confronti di terzi sui fatti di cui viene a conoscenza nell’esercizio dell’attività di servizio». Dall'Ufficio del medico cantonale, che ha tra i suoi compiti quello di vigilare sulle strutture sanitarie, non è ancora giunta risposta.
Qualcosa, comunque, bolle in pentola. E ne va della serenità dei lavoratori (e di conseguenza quella degli ospiti che vengono assistiti da quello stesso personale).