Il caso Swiss non è un unicum. In Ticino c'è almeno una ditta che ha già licenziato un dipendente perché non vaccinato.
Il datore di lavoro: «Non ha voluto nemmeno farsi il tampone». Gargantini di Unia: «Le Autorità devono prendere posizione e non delegare responsabilità alle aziende, altrimenti è il caos».
LUGANO - Solo due giorni fa l'annuncio di quelli che promettono di far discutere: dal 15 di novembre tutto il personale di volo impiegato presso Swiss dovrà vaccinarsi. La compagnia aerea, in realtà, non sembra essere l'unica a voler prendere le distanze dai riluttanti al vaccino. Un episodio paragonabile si è verificato alcune settimane fa presso una ditta di forniture per ufficio a Lamone.
Qui, attorno agli inizi di agosto, DB* è stato assunto in qualità di magazziniere. Alla firma del contratto gli viene chiesto se si fosse vaccinato. La risposta è negativa. Al primo giorno di lavoro gli viene riproposta la domanda. DB risponde che ci avrebbe pensato. Il lunedì seguente il magazziniere si ripresenta al lavoro. «Mi hanno licenziato in tronco senza nemmeno la settimana di preavviso in quanto non avevo ancora espresso la mia volontà a vaccinarmi», racconta.
«Non voleva farsi il tampone» - La versione della ditta non è molto differente: «Siamo stati chiari sin da subito - sottolinea il titolare 83enne -. Gli è stato detto che ingaggiare una persone non vaccinata poteva rappresentare un grosso rischio sia per i colleghi che per me, che è vero che sono vaccinato, ma rientro tra le categorie a rischio».
Secondo il titolare, però, al dipendente sarebbe stata offerta un'altra opzione: «Gli abbiamo chiesto di farsi almeno il tampone. Quando il lunedì si è presentato senza vaccino e senza nemmeno essersi tamponato, abbiamo capito che l'unica strada era quella del licenziamento. E così è stato. È stato mandato via».
«Il diritto al lavoro è inalienabile» - Indipendentemente dalle ragioni, quello che ci si chiede (come peraltro è stato fatto con il caso Swiss) è se sia legale o meno agire in questa maniera nei confronti di un lavoratore che sceglie di non vaccinarsi. A tentare di portare un pò di chiarezza è Giangiorgio Gargantini, segretario regionale di Unia. «Sul caso in questione non posso esprimermi, non essendo in possesso degli elementi nel dettaglio. Inoltre, c’è di mezzo un periodo di prova, e questo influisce ulteriormente sull’eventuale analisi giuridica. In termini generali posso dire che sta emergendo un problema: da una parte c'è certamente il bisogno di sostenere la campagna vaccinale, dall'altra l’Autorità non può delegare questa responsabilità al datore di lavoro».
Gargantini va dritto al punto: «La questione è semplice ed è legata al diritto inalienabile di accedere al lavoro. Fino a che non sarà decretata un eventuale obbligatorietà della vaccinazione, questo diritto non può essere rimesso in questione».
Per il sindacalista un conto è vietare ai non vaccinati l'ingresso al ristorante, un altro è non permettere di esercitare la propria professione: «Non si può paragonare l'accesso a uno stadio o in discoteca al diritto al lavoro, che è fondamentale per il sostentamento della persona e della famiglia. Proprio per questo motivo, e da tempo, evochiamo chiarezza da parte delle Autorità sanitarie e politiche, che devono prendere una decisione. Demandare questa responsabilità alle aziende porta solo confusione».
Altri casi come questo? «Per il momento non abbiamo ricevuto segnalazioni simili». Ma sembra essere solo questione di tempo: «Il tema è evidentemente caldo, tutto dipenderà dall'evoluzione della pandemia».
*nome noto alla redazione.