Il Tribunale d'appello respinge il ricorso della banca e ne mette in luce la mancata sorveglianza sull'ex consulente
Per il buco stimato in 10 milioni di franchi l'ex dirigente italiano, oggi 62enne, era stato condannato dalle Assise criminali a 4 anni e sei mesi
LUGANO - È la storia di due mosche bianche o, se vogliamo usare l'ornitologia, due uccelli rari. Due polli insomma, che nell’aprile 2010 avevano consegnato la prima tranche di un totale di 399’900 euro a un alto dirigente, pure italiano come le due vittime, della filiale luganese della banca Julius Bär. Soldi non dichiarati al fisco che il consulente D. P., oggi 62enne, avrebbe dovuto versare su un conto aperto in Ticino a nome dei due clienti, ma che invece, da persona affetta da «una grave forma di dipendenza compulsiva da gioco», sperperò al casinò, tra slot machines e tavolo verde dapprima a Lugano e quindi a Campione, assieme al resto dei quasi 10 milioni di franchi. Denaro che aveva ricevuto in affidamento da una distinta clientela di grossi imprenditori, avvocati e politici.
La precedente condanna penale - Per il buco milionario l’ormai ex consulente è già stato condannato nell’ottobre 2016 dalle Assise criminali a 4 anni e 6 mesi per ripetuta appropriazione indebita, truffa e falsità in documenti. Nel frattempo è venuto al pettine il nodo del risarcimento a una clientela, per sua fortuna, poco propensa a denunciare. E sono spuntate appunto le due mosche bianche che, nel giugno 2020, hanno ottenuto dal Pretore la condanna della Julius Bär - come istituto bancario responsabile del conto - al pagamento dei 399’900 euro oltre agli interessi maturati dal 15 aprile 2010. Decisione che è stata confermata, il 31 maggio scorso, dalla seconda Camera civile del Tribunale d’appello (TA).
Il conto farlocco e lo spallone - Nella sentenza del TA, pubblicata in questi giorni, emerge da un lato il modus operandi dell’alto consulente bancario: che si recò «presso il domicilio degli ignari clienti con la necessaria documentazione ufficiale per l’apertura di un conto»; clienti che gli consegnarono dapprima 200’000 euro, affinché venissero trasportati in Ticino per il tramite di uno “spallone” incaricato dallo stesso consulente; ma il denaro venne dissipato al gioco e la documentazione del conto mai attivato finì in una cassetta di sicurezza. «Negli anni a seguire - scrivono i tre giudici del TA - il consulente ha regolarmente telefonato e visitato i due clienti per tranquillizzarli sullo stato dei loro averi, mostrando loro una documentazione contraffatta».
Le maglie larghe della sorveglianza di Julius Bär - Buona parte della decisione del Tribunale d’appello è spesa tuttavia ad evidenziare le lacune della Julius Bär già evidenziate dal Pretore. Lacune che, secondo i giudici, «altro non sono che la conferma che le maglie della rete di sorveglianza della banca erano talmente larghe da nemmeno consentire di rilevare i comportamenti ancor più evidenti e gravi da lui assunti in seguito e da consentirgli di delinquere e giocare al casinò il provento delle sue malefatte, indisturbatamente e in maniera sempre più sfacciata per oltre quattro anni, malversanti importi superiori a 8 milioni di euro».