Uno studio dell'EOC su quaranta pazienti mostra le possibili conseguenze sul lungo termine del Coronavirus.
«Nella metà dei "guariti" permangono difficoltà respiratorie», fa notare Pietro Gianella, capo del servizio in pneumologia. Ecco i dettagli.
LUGANO - Quaranta pazienti che hanno contratto il Coronavirus durante la prima ondata. Persone ricoverate in reparto o in cure intense. Rimaste sotto la lente degli specialisti per oltre un anno. Lo studio condotto dai servizi di pneumologia, medicina interna e radiologia dell'Ente Ospedaliero Cantonale (EOC) porta a conclusioni impressionanti per quanto riguarda il Long Covid. «Circa la metà oggi ha ancora conseguenze», fa notare Pietro Gianella, capo del servizio in pneumologia.
Quali sono i dati più significativi emersi?
«Ci sono strascichi a livello respiratorio. La nostra ipotesi iniziale è stata confermata. Infatti abbiamo osservato come a 12 mesi dalla malattia nella metà dei casi i polmoni non riescano più a prendere l’ossigeno come dovrebbero. C'è ancora chi sente il fiato corto. E non si tratta solo di pazienti provenienti dalle cure intense o di persone in età avanzata».
L'opinione pubblica vorrebbe che, nel divulgare statistiche, si desse più importanza all'età e a eventuali malattie pregresse dei pazienti.
«Lo capisco. Ma questa malattia ha dimostrato di essere imprevedibile. C'è chi ha contratto il virus in modo asintomatico. E chi, pur essendo di costituzione sana, è stato colpito in maniera grave. Il fatto di avere una malattia polmonare pregressa è chiaramente un fattore di maggiore rischio. Ma le variabili sono tante. Abbiamo osservato come i sintomi polmonari del Long Covid non siano legati all’età e spesso tocchino anche pazienti di meno di 50 anni».
Come si sentono i vostri pazienti, così segnati da questa malattia?
«Dare risposte è difficile. Abbiamo notato che chi ha un buon sistema immunitario ha reagito meglio alla malattia. E anche in caso di Long Covid si è ripreso più in fretta. Quindi possiamo ipotizzare che comunque il sistema immunitario abbia un ruolo importante».
Quanto pesano le incognite sul virus?
«Il vero problema è proprio che siamo di fronte a qualcosa che non conosciamo ancora completamente. I pazienti necessitano soprattutto di essere ascoltati e creduti. L'accompagnamento attraverso il percorso di riabilitazione ha un grosso valore».
Più concretamente come seguite queste persone?
«Prima di tutto c'è l'aspetto psicologico da tutelare. Spesso il morale di queste persone è a terra. Ci si sente fiacchi, svogliati. Deve passare il messaggio che più uno se ne sta fermo, più impiegherà del tempo a progredire. E infatti stimoliamo i pazienti a fare attività fisica ed esercizi respiratori. Quotidianamente. Il fatto che abbiano un punto di riferimento che li aiuti a non cedere allo scoraggiamento rappresenta un sostegno enorme».