Per il Belpaese 2021 e 2022 sono gli anni della ripresa economica. Il nostro cantone potrebbe approfittarne?
Da una parte, in virtù degli stretti rapporti economici, questo potrebbe favorirci. Dall'altra, un loro rafforzamento economico potrebbe rubarci forza lavoro.
BELLINZONA - Italia in rilancio. Il Belpaese, dopo molti anni di buio e un 2020 da dimenticare, può gioire. Sì, perché con una crescita del PIL del 6,3% prevista per il 2021 e del 4% per il 2022, sembra essere in atto una vera e propria trasformazione economica. Ma per il Ticino cosa cambierà? Ce lo spiega il direttore della Camera di commercio ticinese Luca Albertoni.
Il Ticino dovrebbe tifare Italia - «Evidentemente noi abbiamo interesse che l’Italia vada bene, perché è uno dei nostri partner economici più importanti, sia a livello ticinese, che svizzero», spiega. «E chi gioisce se l’Italia va male, non si rende bene conto di quanto questo possa nuocere». Detto ciò, continua Albertoni, il nostro tessuto economico è comunque molto diversificato, «e risulta quindi non eccessivamente dipendente dall’andamento economico di singoli Paesi».
L'abbandono dei frontalieri? - C’è però anche la questione forza lavoro, tra frontalieri e lavoratori che espatriano. Se l’Italia dovesse diventare più forte, potrebbe offrire migliori condizioni di lavoro e tenersi per sé cervelli a noi preziosi? «Un po’ tutti i cantoni, Ticino compreso, lamentano difficoltà nel trovare manodopera qualificata in diversi settori, come nel campo dell'ingegneria o nel sanitario», conviene Albertoni. «Nel momento in cui nel Belpaese dovesse esserci un boom economico importante, è possibile che si limiti ulteriormente il bacino di personale qualificato da cui attingere». E in quel caso, spiega Albertoni, «qualche problema per noi ci sarebbe sicuramente».
Cambio alla radice o solo alla superficie? - L'impatto del rilancio italiano su di noi potrebbe però variare significativamente in funzione della sua natura. «Bisogna vedere se si tratta di un boom congiunturale, portato dall'abilità del premier Mario Draghi nel canalizzare le risorse dove serviva, oppure strutturale», conclude Albertoni.