Il reporter Gianluca Grossi racconta lo scontro tra Russia e Ucraina su Piazza Ticino. Guarda la video intervista.
«Dopo due anni di pandemia – spiega – siamo frastornati. Inoltre pensavamo che un conflitto del genere in Europa non si sarebbe mai più verificato».
LUGANO - Il conflitto tra Russia e Ucraina visto dalla Svizzera italiana. Con l’occhio critico di chi tra le bombe c’è stato per anni. Gianluca Grossi, noto reporter di guerra, presto in libreria con "La libertà è una parola. Sul giornalismo apocalittico" (Redea Publishing), è stato ospite di Piazza Ticino, la piazza virtuale di Tio/20Minuti. «La guerra è tornata in Europa – questo il suo pensiero in sintesi –, qui dove pensavamo di averla messa tra parentesi per sempre. L’elemento della vicinanza è decisivo nel come stiamo vivendo questo conflitto».
È una guerra che viene “raccontata bene”?
«La guerra è sempre raccontata su due piani. Prima di tutto da quanto raccolto sul terreno, là dove i giornalisti si muovono. Ed è chiaro che dalla parte ucraina riusciamo ad avere più informazioni e che la parte russa è meno coperta. Il secondo piano è quello dell’analisi. Qui l’analisi è stata sostituita dall’anamnesi. In particolare aprendo le porte alla psichiatria, con la convinzione che all’origine di tutto ci sia la mente malata del presidente russo. E allora assistiamo a tanti tentativi di comprendere una presunta malattia. È un modo di leggere la realtà figlio anche del periodo pandemico da cui stiamo uscendo. Anche in quel caso la narrazione è stata di tipo sanitario».
Alla narrazione stanno partecipando un po’ tutti. Sui social in primis, dove chiunque si sente di potersi esprimere. Perché?
«È un buon segno innanzitutto. Vuol dire che viviamo ancora in democrazia. Penso inoltre che un atteggiamento del genere è da giustificare. Siamo spaesati nel constatare che la guerra è tornata vicino a casa nostra. Lo siamo a maggior ragione dopo due anni di pandemia. Non abbiamo neanche fatto in tempo a tirare il fiato che è partito questo conflitto, siamo frastornati».
Il presidente russo Putin nega azioni evidentissime. Che senso ha?
«Succede in tutte le guerre che la realtà dei fatti venga negata fino all’ultimo. Prima di tutto per convincere chi già è dalla tua parte. Inoltre per sollevare un polverone, creare confusione e prendere tempo».
Giornalisti via dalla Russia e maltrattati dai soldati russi in Ucraina. Qual è il sentimento del reporter?
«Di tristezza e di impotenza. Si nota come il giornalista non conti più nulla sul campo di battaglia. È tollerato solo finché condivide la tua narrazione».
Questa guerra ci fa più paura di altre anche a causa della minaccia nucleare?
«Non solo. La strategia russa di guerra totale, una guerra che non risparmia nulla, non i civili e non le loro abitazioni, crea profonda angoscia. Quando succedeva la stessa cosa in Siria o altrove, e non solo per mano dei russi, non ci sentivamo così minacciati».
Da “no vax” a “pro Putin” per alcuni il passo sembra essere stato breve.
«È così. Ma non significa nulla. A essere significativo è che il tentativo di produrre una lettura razionale di questa guerra venga definito irrazionale da chi sostiene una lettura “psichiatrica” della realtà. Chi prova a ricercare le cause di questo conflitto per trovare soluzioni viene accusato di essere un guerrafondaio. Così come durante la pandemia chi osava portare avanti una proposta che contrastava il pensiero unico dominante finiva subito nel calderone dei negazionisti. Io non metto in dubbio che i negazionisti siano esistiti e che oggi esistano i guerrafondai a prescindere. Il fatto grave è che in quel calderone finisce anche chi ricorre al ragionamento».