L'Archistar ticinese si racconta al Maxxi di Roma in "Sacro e Profano" presentando undici suoi progetti.
Tra di essi non è presente quello della Chiesa in Ucraina che prosegue nonostante la guerra. «Pensavo si fossero fermati, invece stanno andando avanti. Per me è una storia incredibile, un atto di resistenza e di speranza».
LUGANO - La chiesa di San Rocco a Sambuceto, in Abruzzo, con i suoi straordinari giochi di luce, la Sinagoga di Tel Aviv pensata per l'incontro tra religiosi e laici, il nuovissimo progetto per le terme di Baden, ripensamento contemporaneo di un tema millenario. L'archistar ticinese Mario Botta si racconta da domani al Maxxi, Il Museo delle arti del XXI secolo a Roma, con Sacro e Profano, una piccola, densissima mostra che è insieme un autoritratto e una summa della sua idea sacrale di architettura.
In tutto 11 progetti, sottolinea Margherita Guccione, curatrice della rassegna insieme con Pippo Ciorra, di fatto un percorso sceltissimo e gioioso tra raffinate maquette e strepitosi disegni delle sue opere più amate, dal poetico San Carlino in legno progettato sul Lago di Lugano per il centenario di Borromini, al fiore di pietra che inventò per ospitare un avveniristico ristorante sulla vetta del Monte Generoso.
Intorno a lui una vita di progetti realizzati in tutto il mondo, edifici importanti che hanno lasciato il segno. Musei, alberghi, palazzi, edifici di culto di ogni confessione, sacro e profano, appunto. «L'architettura stessa è sacra perché trasforma la natura in cultura», ragiona lui pacato, mentre racconta dell'importanza della luce che disegna gli spazi e anzi «li genera», della necessità di ogni architettura di rapportarsi con il territorio e con il paesaggio - che quella luce, appunto, modella in modo diverso in ogni ora del giorno - delle tante scelte fatte per risolvere felicemente le esigenze del contesto, per ripensare oggi a luoghi dell'abitare che hanno funzioni antichissime, come i santuari, certo, ma anche le terme.
Ed è proprio parlando di luoghi di culto, di quella sua passione che dagli anni '80 e dall'iconica cappellina del Monte Tamaro è diventata un po' una costante del suo lavoro, che il pensiero va oltre, travalica le mura sinuose del museo disegnato da Zaha Hadid per arrivare nell'Ucraina di questi giorni, martoriata dalle bombe, devastata dalla guerra. Perché tra i progetti in corso d'opera che nella mostra romana non hanno trovato spazio, racconta Botta, c'è anche una chiesetta greco ortodossa ancora in costruzione proprio in un quartiere periferico di Leopoli.
Intorno al progetto, commissionato dalla Compagnia di Don Orione, una comunità metropolitana povera ma incredibilmente determinata. «Pensavo si fossero fermati, invece stanno andando avanti anche in questi giorni», dice, «mi hanno mandato un video del cantiere, si sentono persino le sirene dei bombardamenti». Si tratta di una chiesa a pianta centrale «come fosse una grande cupola», spiega l'architetto, per la quale è stato previsto in alto «un lanternino dorato, solo quello perché non c'erano i soldi per dorare tutto». Un elemento piccolo ma importante, ripete, al punto che sacerdoti e comunità non hanno voluto rinunciarvi. Tanto da organizzare per questo una colletta, ognuno con i suoi piccoli gioielli, «qualcuno ha dato persino i denti d'oro». Un tesoretto che il sacerdote ha portato in Italia, a Bergamo, «da un artigiano che ha fatto fondere l'oro e che adesso è pronto per dorare il cupolino», prosegue Botta a questo punto visibilmente emozionato. «Per me è una storia incredibile, un atto di resistenza e di speranza».
Intorno a lui la mostra si popola, la presidente del Maxxi Giovanna Melandri, padrona di casa, accoglie Vittorio Sgarbi, presidente del Mart di Rovereto altro progetto molto amato dell'architetto ticinese, la curiosità si accende sullo "studiolo" l'installazione in legno pensata proprio per questi spazi, elemento profano che dialoga con il sacro della riproduzione uno a due della facciata di San Giovanni Battista a Mogno. A Leopoli intanto, riflessi nell'acqua del fiume, gli spicchi in pietra della cupola della Divina Provvidenza, offrono allo sguardo un'idea di rifugio e di raccoglimento. E chissà se l'oro di quel lanternino, così fortemente voluto, riuscirà alla fine a portare anche pace.