Ffp2 e chirurgiche sempre meno richieste. A Taverne un'azienda chiude la produzione con strascichi giudiziari
L'Ocst: «Comportamento spregiudicato e illegale». Ma non è l'unico caso: viaggio in un settore che lotta per sopravvivere
TAVERNE - Tutti licenziati, da domani. Il 31 marzo i nove dipendenti della Hpcd di Taverne hanno ricevuto dalla direzione una lettera che sapeva di scherzo. Non lo era: il primo d'aprile la società ha chiuso i battenti aver prodotto 4237585 mascherine chirurgiche e 9264128 Ffp2 - come si legge sul sito aziendale - in poco più di un anno di vita. Nei tre mesi precedenti i dipendenti non avrebbero ricevuto stipendio.
Con la stessa rapidità con cui era comparsa, l'azienda sembra essersi dissolta nel nulla. I proprietari della Hpcd da settimane non rispondono alle telefonate dei dipendenti e del sindacato Ocst. Non hanno risposto neanche a tio.ch/20 minuti. «Capiamo il momento difficile per questo settore, ma qui siamo davanti a un comportamento decisamente spregiudicato e illegale» sottolinea il sindacalista Marco Rocca. «La decisione di chiudere è stata presa nel momento stesso in cui sono state rimosse le disposizioni federali. Adiremo le vie legali per ottenere quanto dovuto ai lavoratori».
Non è l'unico produttore ticinese di mascherine a essere nato e morto con l'emergenza sanitaria. In estate un'altra azienda, la Ti Proteggo di Riazzino, ha chiuso lasciando a casa i suoi quattro dipendenti. «Le difficoltà sono innegabili» conferma il portavoce dell'Ordine dei farmacisti Federico Tamò, a sua volta co-fondatore della Farmaconsult di Sementina: durante il picco pandemico l'azienda impiegava 20 persone, «oggi sono rimasti in quattro» e le prospettive non sono rosee. «Restano le forniture alle strutture sanitarie, ma altre chiusure saranno inevitabili in futuro».
Gli ordini sono scesi «almeno del 50 per cento dopo gli allentamenti di marzo» per la TiMask di Ligornetto, che ha ridotto i dipendenti da 11 a 8. «Stiamo puntando su nuovi prodotti e nuovi mercati, mantenendo uno zoccolo duro di clienti ticinesi» spiega il direttore Moreno Lazzaroni. Non gioca a favore il fatto che il settore è composto esclusivamente da aziende piccole o piccolissime, come la Sitisa di Sementina: a marzo 4 dipendenti erano impegnati nella produzione di mascherine, oggi sono rimasti in due. Per il direttore Claudio Romano «un calo era prevedibile» come lo è una ripresa della domanda in autunno. «Per le mascherine sembra essersi stabilità una stagionalità, legata alla paura e al senso di responsabilità della popolazione».
Il caso della Hpcd di Taverne è isolato, soprattutto per le modalità. Ma secondo Tamò non è escluso che ci saranno altre chiusure in futuro. «Il settore al momento è ancora fortemente sbilanciato dall'immenso fabbisogno creato dai diversi picchi pandemici ma sarebbe un peccato perderlo del tutto». Per il portavoce dell'OFCT è auspicabile che in Ticino «rimangano attivi almeno un paio di produttori locali per garantire l'approvvigionamento di questi prodotti, nessuno vorrebbe ritrovarsi di nuovo in una situazione simile a quella di marzo 2020 in futuro».
«Pagheremo gli arretrati»
A seguito dell'articolo di tio.ch/20minuti, la ex direzione della Hpcd ha precisato che «sta lavorando con la proprietà per pagare tutti gli arretrati» e che questi «non ammontano a tre mesi di stipendio, contestiamo questa rivendicazione». I dipendenti sarebbero stati pagati fino a febbraio: «Nel mese di marzo abbiamo avuto effettivamente problemi di liquidità, e proprio per evitare un aggravarsi della situazione abbiamo deciso di sciogliere immediatamente i rapporti di lavoro e fermare la produzione». I dipendenti sarebbero stati «informati fino all'ultimo sull'evolversi della situazione».
Dopo la chiusura dell'attività a Taverne, la società titolare dell'impianto - con sede a Zugo - sta proseguendo la vendita delle mascherine già prodotte in Italia, dove l'obbligo di mascherina è ancora in vigore. In questa attività sarebbero impiegati 3 dipendenti «con una nuova gestione e un nuovo brand».
L'Ocst dal canto suo conferma e ribadisce la rivendicazione dei mesi di stipendi arretrati «da tre a cinque» per i dipendenti che si sono rivolti al sindacato.