Marco Sansonetti, ex titolare di Argo 1, torna alla ribalta col libro scritto dalla figlia: «Nessuno si è mai scusato con me».
LUGANO - Centosessanta pagine scritte dalla figlia Marlise, di 17 anni e mezzo, che vive in Puglia. "Quando il potere è nelle mani sbagliate" è un libro che riporta sotto i riflettori la vicenda Argo 1. Un caso che tanto fece discutere tra il 2017 e il 2019. Marco Sansonetti, 42 anni, titolare della ditta che si occupava di sicurezza nei centri per richiedenti l'asilo, torna a fare parlare di sé. «Anche perché subito dopo il mio proscioglimento è arrivata la pandemia. E tutta l'attenzione mediatica che prima era su di me è stata catalizzata altrove. Mi sento ancora la macchia addosso. Ingiustamente».
Sansonetti, qualcuno potrebbe ironizzare sul fatto che lei abbia strumentalizzato sua figlia per togliersi i sassolini dalle scarpe...
«Mia figlia aveva dodici anni quando sono stato arrestato. Per lei fu un trauma. Il mio nome era sulla bocca di tutti, anche in Puglia. È una ragazza forte, che ha superato quei momenti difficili. E che ama scrivere. Il libro l'ha voluto lei. E io non mi sono opposto. Aveva bisogno di elaborare probabilmente. Di capire. Ad aiutarla è stata sua zia, ghostwriter».
Lei non ci ha messo lo zampino dunque?
«Beh. Quando Marlise la scorsa estate mi ha espresso il desiderio di scrivere il libro mi sono messo a disposizione per spiegarle i dettagli della vicenda. Parliamo di fatti pubblici. Non ho nulla da nascondere».
Contro di lei a un certo punto pendevano quattordici capi d'accusa.
«Solo uno, di carattere amministrativo, è stato confermato. Gli altri sono tutti caduti. Stiamo parlando di accuse gravi. Di sequestro di persona, di usura, di corruzione. Il caso, è bene ricordarlo, è stato passato al setaccio non di una ma di ben due inchieste, concluse con un nulla di fatto…»
C'è chi la dipingeva come un sergente di ferro. Possibile che lei non abbia proprio sbagliato nulla?
«Il mio metodo è stato definito militaresco. Intendiamoci: lavoravo per una società di sicurezza. Bisognava essere efficienti, fermi e comprensivi allo stesso tempo. Ma avere il polso fermo non è un reato. Non ho rimproveri da farmi. Se non quello di avere assunto qualche dipendente che non andava assunto».
Non teme ripercussioni legali dopo la pubblicazione di questo libro?
«No. Non ho paura. Non sono io a dovere ancora chiarire gli aspetti più bui di questa vicenda. Che parlino gli altri ora».
Che sentimenti prova oggi verso la vicenda Argo 1?
«Rabbia. Sono stato 24 giorni in isolamento senza potere replicare alle calunnie gratuite sul mio conto. E poi la giustizia… Prima del decreto d'abbandono, ci son voluti ben due anni e mezzo. Due anni e mezzo! C'è stata lentezza. Io in quel periodo non ho potuto né lavorare, né ricostruirmi una vita. Non puoi tenere una persona ferma per così tanto tempo. Dopo il mio proscioglimento, nessuno si è mai scusato per gli errori commessi. E ce ne sono stati molti dagli effetti nefasti. Tutto questo fa male e lascia profonde cicatrici».
Lei ha spesso criticato il sistema. Ma perché qualcuno avrebbe dovuto fare fuori la Argo 1?
«Gli interessi in gioco erano tanti: economici, per fare subentrare al nostro posto un'altra agenzia di sicurezza. Cosa che poi puntualmente è accaduta. E poi gli interessi di Palazzo. Eliminando me sarebbe stato possibile aggiudicarsi l’intero piatto in gioco. Io dovevo essere fatto fuori, anche perché a differenza di altri non avevo nessun padrino in Governo».
C'è ancora tanto veleno nelle sue parole.
«A volte penso che tutto questo sia servito per fare saltare un Consigliere di Stato, che già stava affrontando alcuni problemi all’interno del suo partito. Tutto questo mentre un altro consigliere di Stato andava in vacanza, in più occasioni, col responsabile di una ditta che, non è un mistero, aveva contatti frequenti con il suo dipartimento. Ditta che poi improvvisamente è subentrata ad Argo 1. In Ticino c'erano diverse altre società che avrebbero potuto svolgere lo stesso lavoro. Non sono state interpellate».