Ma che significa oggi il Natale, tra religione e... regali? Ne parliamo con il filosofo Markus Krienke
LUGANO - La festività del Natale è ormai solidamente ancorata nella nostra società. Seppur la religiosità sia in crisi (vi sono sempre meno credenti che praticano, che vanno in chiesa), niente sembra intaccare la magica tradizione natalizia. Ma come mai? Ne abbiamo parlato con il professore di Filosofia moderna ed etica sociale, Markus Krienke, attivo presso la facoltà di Teologia affiliata all'USI.
«Il Natale si è svuotato dal significato cristiano originale con una velocità sorprendente. Da un lato si sa sempre meno cosa si festeggia, d'altra parta anche la presenza alle Messe di Natale diminuisce sempre di più», ha spiegato a Tio/20 Minuti l'esperto. E la pandemia potrebbe accelerare questo trend. «Mi aspetto che dopo la pandemia molte persone che prima magari venivano solo alla Messa di Natale - uno degli unici momenti in cui le Chiese erano piene - possano rinunciare e non venire più».
Il Natale perde quindi significato, ma solo dal punto di vista del Cristianesimo. «La festa continua ad avere un grande significato per le persone. Questo perché c'è un forte desiderio umano di stare in armonia con gli altri, con la famiglia, all'insegna di pace e di valori che nella quotidianità vengono vissuti sempre meno. È la contrapposizione a una realtà che si subisce sempre di più».
La Chiesa, un'alternativa
La Chiesa, però, lamenta che il significato cristiano è sempre meno presente, ciò che "svuota" il senso del Natale. «La Chiesa non dovrebbe dire che senza cristianesimo il Natale perda di significato e si svuoti, perché un significato per le persone ce l'ha, è la festa dell'amore, della famiglia, dell'armonia...». Cosa dovrebbe fare la Chiesa? Per Krienke, «non dovrebbe incentrarsi solo sul cosa si festeggia, ma dovrebbe far capire che il Cristianesimo offre un'alternativa per soddisfare questo desiderio che c'è, e che nella nostra società ha troppa poca possibilità di essere realizzato».
Comunque, seppur il legame con il Cristianesimo diminuisca sempre di più, c'è chi magari a Natale va a Messa (l'unica volta all'anno): un legame per molte persone è ancora quindi solido. «Senz'altro. La società ha sostituito la risposta al Cristianesimo a determinati desideri umani in vario modo, offrendo modi alternativi di soddisfarli, ma a Natale c'è chi sente che le risposte della società non bastino, e per un paio di giorno vuole andare oltre, per trovare una risposta non soltanto intellettuale, ma anche esistenziale».
Una festa che ci allontana dalla realtà
C'è però anche un effetto che questo allontanamento dal Cristianesimo ha avuto sul Natale: «Allontanandoci dalla connotazione cristiana abbiamo iniziato a caricare questa festa con un romanticismo esagerato, ciò che non è stato fatto dalla religione - anche perché il Cristianesimo vede in Gesù il Cristo crocifisso, un riferimento alla morte e alla resurrezione».
«Dal diciannovesimo secolo questa festività è infatti diventata sempre più sentita, e con il passare degli anni sono diventati dei giorni eccessivamente romanticizzati, fino a diventare nella società consumistica del ventesimo secolo espressione di un'utopia idilliaca che proprio perché non permette più stonature, cozza a volte in modo eclatante contro la realtà effettiva (non si pensa che anche in questi giorni ci sono problemi, persone sole, persone che litigano)», ha affermato Krienke.
Ma tutte queste vetrine piene, lo scambio dei regali... anche il consumismo ha giocato una parte? «Il consumismo tiene un po' in piedi l'importanza di questa festa, ma non è solo il consumismo», secondo l'esperto, «perché il Natale è diventato la risposta a un bisogno umano, e di conseguenza siamo disposti a spendere tanto perché si muove qualcosa, vengono toccati dei tasti dentro di noi, e abbiamo un desiderio che durante l'anno non riusciamo a soddisfare».