Nove israeliani soccorsi in Redòrta: non avevano ascoltato i consigli dei capannari. Per l’esperto Giovanni Galli il trend è preoccupante.
SONOGNO - Il monito dei capannari della Valle di Tomeo, in Lavizzara, è caduto nel vuoto. I nove turisti israeliani, soccorsi lo scorso weekend a 2'500 metri nella zona della Corona di Redòrta, in alta Verzasca, hanno deciso di proseguire comunque la loro escursione. Nonostante i rischi legati al maltempo e al freddo, e i consigli di chi conosce bene quelle montagne. «La tendenza è preoccupante», sostiene Giovanni Galli, presidente del Club Alpino Svizzero (CAS).
Cosa sta succedendo?
«Certa gente vuole decidere cosa fare, indipendentemente da tutto. Non ha più l’umiltà di fermarsi di fronte a eventuali cambiamenti di orizzonte. Se il programma è quello, deve essere quello. Punto».
Da cosa deriva questa sua sensazione?
«Sentiamo sempre più parlare di casi simili. Di persone che hanno prenotato un determinato weekend per fare un percorso e che lo vogliono fare comunque, nonostante i preavvisi sfavorevoli. Forse è anche un problema sociologico per cui tutto deve andare come è stato previsto, non si vuole rinunciare a nulla».
I capannari hanno un ruolo importante?
«Certo. Ma bisogna ascoltarli. Gli escursionisti moderni vivono nella falsa sicurezza dello smartphone».
Il telefonino fa sentire onnipotenti in montagna?
«Alcuni pensano che il radar meteorologico possa metterli al riparo da qualsiasi sorpresa. Una volta queste cose non capitavano. La gente guardava il cielo e capiva che non era il caso di andare sulle creste».
Quanto contano i cambiamenti climatici?
«Molto. Fino a poche decine di anni fa i mutamenti del clima sull’arco della giornata erano decisamente più prevedibili. I temporali erano soprattutto serali. Adesso possono essere sparsi a ogni ora con più frequenza. Ma sono cambiate anche altre cose».
Vale a dire?
«Certe escursioni che prima facevi magari in agosto, adesso non le puoi più fare. Perché in generale sono mutate le condizioni meteorologiche di quel mese, c’è più instabilità. Lo scioglimento dei ghiacciai e della neve già a inizio estate impone un adattamento dei programmi e degli obiettivi. I pericoli oggettivi sono sicuramente aumentati, ma anche quelli più soggettivi e umani. Si assiste a una generale sottovalutazione dei rischi e a una sopravvalutazione delle proprie capacità».
Che ne pensa delle campagne sulla sicurezza in montagna?
«Purtroppo gli slogan servono a poco. Occorrerebbe invece più presenza sul posto da parte delle società alpine. La sensibilizzazione diretta è più efficace».
Il Club Alpino Svizzero continua a offrire corsi di formazione.
«E continuiamo a insistere sul concetto di pianificazione. Sia per quanto riguarda l’abbigliamento, sia per l’itinerario e le tempistiche, sia per le incognite meteorologiche. Bisogna imparare anche a calcolare i rischi oggettivi, come ad esempio quello di caduta sassi. La montagna va conosciuta».
Quanto accaduto sulla Corona della Redòrta era evitabile. Un soccorritore è scocciato in queste situazioni?
«Penso proprio di sì. Inutile negarlo. Un soccorritore fa il proprio dovere sempre. Ma ci sono circostanze in cui si è di fronte a evidenti imprudenze. Non dimentichiamo che per ogni intervento si mobilitano diverse persone, magari anche a orari notturni».