Paolo Bertossa, presidente del Sindacato svizzero dei mass media (SSM): «Per fare una televisione pubblica di qualità servono risorse».
LUGANO - «Ma lo vedete il nostro telegiornale? L'impianto scenografico, ad esempio: è uno "spettacolo" che qualcuno deve gestire, dai tecnici che muovono le luci ai cameraman. Risorse. Persone. Quello che serve per potere fare una televisione pubblica di qualità. Altrimenti, al contrario, il risultato è un prodotto da skype».
Paolo Bertossa, presidente del Sindacato svizzero dei mass media (SSM), si appassiona e cerca di fare capire che il taglio di soli 35 franchi al canone, «che non sono bruscolini» dice, sarebbe una catastrofe: «Dati ufficiali dalla SSR sugli ipotetici tagli in Ticino ancora non ne sono stati forniti - dice prima di cominciare una conferenza stampa dove calerà numeri e considerazioni sullo tsunami che si prospetta - ma noi come sindacato prevediamo la soppressione di almeno 150-170 posti di lavoro a tempo pieno. Non sappiamo quanti nell'intrattenimento e quanti nel settore dell'informazione, ma le nostre previsioni dicono questo».
Dicono anche che - contrariamente a quanto comunicato da UFCOM, l'ufficio federale della comunicazione - tenendo conto anche della continua erosione delle entrate pubblicitarie, la «perdita per l'azienda a partire dal 2027 sarà di 240 milioni di franchi». Per Bertossa, un cataclisma economico che si porterà dietro serie ripercussioni nel campo occupazionale (a livello svizzero SSR si è già pronunciata, prevedendo 900 esuberi) e che colpirà anche l'indotto: a domino andranno giù «i settori privati legati direttamente o indirettamente alla Rsi. Qui non stiamo parlando solo delle 1115 persone a cui la RSI dà lavoro».
E ricorda anche la funzione formatrice della tv di Stato: «In azienda le professioni sono una settantina, è proprio questa varietà di profili professionali, unica nel suo genere, che rende la RSI una delle principali aziende formatrici del cantone. E in un Ticino che come molti dicono non è più un cantone per giovani, il venire meno al suo ruolo porterà proprio quei giovani ad avere maggiori difficoltà a ricevere una formazione di alto livello e saranno costretti a rivolgersi altrove».
La decisione del Governo federale di volere portare a 300 franchi il canone la reputa un gravissimo errore strategico: «Se decidono che dobbiamo dimagrire - sbotta - ci devono prima dire cosa deve fare il servizio pubblico. Prima di tagliare, devono disegnare il nuovo perimetro dentro il quale una televisione pubblica deve operare. Vuoi cambiare il mandato? Prima definisci i paletti. Vuoi le sottotitolature, il linguaggio dei segni? Hanno dei costi, perché dietro ci sono delle persone qualificate. Decidi di tagliare? Tanti servizi che la RSI offre come servizio pubblico, previsti dal mandato, non li potrà più fare».
Ma cosa potrebbe fare sparire dai palinsesti della televisione di Stato la "cesoia" del taglio della tassa di ricezione? «In primis i programmi sportivi - fa l'elenco la sua Vicepresidente Sabrina Ehrismann - anche e soprattutto i grandi eventi. Calerà l'offerta di film e telefilm di qualità, la produzione propria di fiction. A farne le spese anche gli eventi regionali e nazionali, le trasmissioni religiose».
Pagheranno il dazio del taglio del canone anche «molti settori affini alla RSI, basti pensare ai contributi destinati all'Orchestra della Svizzera italiana, al Festival di Locarno e a una miriade di altre manifestazioni e istituzioni culturali sul territorio».
Ma quello che spaventa, è anche la possibile messa in discussione della "perequazione" nazionale: in pratica, la ridistribuzione dei canoni ricevuti dalle varie televisioni regionali. Oggi la Rsi, a fronte dei 45 milioni di franchi che raccoglie, «ne riceve circa 200 milioni, in forza del principio che tutte le unità aziendali devono offrire una programmazione in termini quantitativi e qualitativi, analoga».
La partita dell'abbattimento del canone fa dire invece a Giangiorgio Gargantini di USS - l'Unione sindacale svizzera sezione Ticino e Moesa, che ci troviamo di fronte a «un atto politico e antidemocratico e espressione appunto di una volontà politica, di ragioni ideologiche. Il fatto stesso di volere procedere con un'ordinanza senza volere prendere in considerazione l'ipotesi di un controprogetto e non dando la possibilità alla popolazione di potersi esprimere la dice lunga. Altra cosa: il fatto di volere indebolire un buon datore di lavoro come la RSI che raccoglie 45 milioni e ne riceve da SSR quasi 200 per fare una televisione di qualità mi risulta un po' tafazziano. Anche il Ticino come Stato ne risulterà indebolito, non solo la Rsi».