Alcuni Stati bloccano i social per il loro impatto sulla salute mentale. Due esperti di comunicazione spiegano perché è sbagliato proibire.
SAVOSA - Sono fortemente criticati, eppure moltissimi di noi non possono farne a meno. Parliamo di social, dato che in alcuni paesi sono in corso svariati tentativi d'imporre dei limiti o proibire del tutto il loro impiego. Le motivazioni? La salute dei giovani e la sicurezza pubblica. Ma è davvero utile arrivare ad adottare queste soluzioni?
«La questione della salute mentale come principale motivazione non è infondata. Lo dimostrano diverse ricerche, ma non abbiamo dati definitivi, soprattutto relativi alla dipendenza dei social media» spiega Eleonora Benecchi, docente e ricercatrice all'Università della Svizzera italiana di Social Media Management. «La questione della privacy e della raccolta dati - aggiunge - ha delle dimensioni politiche e ha a che fare con le abitudini culturali dei vari paesi, in cui l'attenzione sui dati e le informazioni personali può essere più o meno alta, i contenuti possono circolare con più o meno libertà».
Dello stesso avviso è Gabriele Balbi, professore ordinario in Media Studies presso l'Università della Svizzera italiana: «La salute dei giovani si può suddividere in tanti modi. Uno direi è la consapevolezza della durata dell'uso, con dunque un tentativo di educazione e di consapevolezza digitale. L'altro è l'età, ma spesso nei social in qualche modo mentiamo o diamo altre generalità».
Come mai TikTok è il social più bersagliato?
Balbi: «È una app cinese per cui sembra quasi che per forza di cose il governo cinese debba spiare noi occidentali. Una motivazione dunque politica da un lato ma dall'altro anche economica, visto che negli ultimi anni sta togliendo tempo e attenzione alle piattaforme americane. È un social per lo più visuale e non testuale, il cui aspetto plurisemantico è più problematico. L'altra questione è la natura dei contenuti di TikTok se consideriamo i video brevi, la frivolezza e i video stupidi. Questo viene un po' interpretato come qualcosa di potenzialmente dannoso e negativo.
Benecchi: «TikTok è una piattaforma giovanissima in termini di utenza e dunque si impongono alla piattaforma dei controlli della protezione dati dei minori più rigorosi rispetto ad altri social dove sappiamo che c'è un'utenza molto più adulta, ricevendo inoltre delle multe per aver raccolto informazioni senza il consenso genitoriale. Ha affrontato anche varie critiche legate alla diffusione di contenuti inappropriati per una piattaforma frequentata da giovanissimi per una questione legata all'algoritmo, alla struttura stessa e al suo funzionamento, in cui contenuti del genere circolano con maggiore facilità».
Proibirebbe l'utilizzo dei Social Media?
Balbi: «Raramente la censura ha prodotto qualcosa di positivo e in genere ha acceso una sorta di maggiore appetibilità. Probabilmente le aziende del digitale potrebbero trovare soluzioni alternative. Ragioniamo inoltre anche su tutto l'indotto che è generato e stimolato dai social media. Il fatto di spegnere eventualmente i social network dopo una certa attività potrebbe essere una ipotesi, ma anche qui facilmente bypassabile. Proibire o ha delle motivazioni politiche sottostanti o altrimenti la vedo complicata».
Benecchi: «Una regolamentazione dall'alto, da parte del governo di una nazione, potrebbe avere un'influenza politica, ideologica e culturale e quindi incidere fortemente sia sulla libertà di accesso alle informazioni che sulla libertà di espressione. Una strada potrebbe essere non quella di fare una regolamentazione diretta sui contenuti, ma imporre che queste piattaforme rispettassero le regole legate alla tutela dei minori, alla protezione della privacy e alla gestione della circolazione di contenuti dannosi, demandando loro di applicare filtri più rigorosi. L'educazione digitale e la promozione di un uso responsabile dei social media sono quello che invece i governi possono fare».
Come si immagina un domani senza più Social Media?
Balbi: «Ci troveremmo in un mondo di inizio anni duemila, ma una cosa che la storia dei media ci insegna è che le tecnologie raramente spariscono da un giorno all'altro, ma molto spesso si vanno a integrare con altri sistemi differenti. È più verosimile che fra qualche anno i social media non avranno l'attrattiva che hanno oggi. Sarà un processo graduale e vedremo cosa emergerà al loro posto».
Benecchi: «Sono talmente integrati nella nostra vita quotidiana e hanno delle funzioni sociali talmente forti e radicate che diventa veramente difficile pensarci. Senza social le persone dovrebbero tornare a fare affidamento su mezzi tradizionali di comunicazione, magari favorendo una comunicazione più autentica, più personale, più intima. Non possiamo però immaginare un mondo totalmente più positivo o senza rischi semplicemente togliendo questi mezzi perché non possiamo dimenticarci di tutte le dimensioni sociali, relazionali e informative che queste piattaforme hanno».
Come mai, nonostante tanti parlano male dei social, sono in pochi coloro che vi rinunciano?
Balbi: «Parlare male di qualcosa a livello tecnologico e poi usarlo è abbastanza un classico. Da un lato c'è un rapporto stretto perché l'uso è continuo e quotidiano, dall'altro c'è anche bisogno di distanziamento credendo che le tecnologie siano importanti fino a un certo punto. I social sono semplici nel loro utilizzo e ci permettono di dare un'occhiata ai nostri legami sociali e di controllarli, in cui si inserisce anche il pettegolezzo. Rispondono dunque a dei bisogni abbastanza classici dell'essere umano».
Benecchi: «In primo luogo c'è la connessione sociale, per cui i social ci offrono dei modi per connetterci con la nostra rete sociale e mantenere le relazioni senza dover attraversare una distanza fisica. Poi c'è anche sicuramente una questione di intrattenimento e svago. C'è anche la questione informativa, per cui si cercano notizie e informazioni attraverso i social media. C'è anche la pressione sociale e professionale: è ovvio che se la maggior parte delle persone intorno a me li utilizzano c'è una pressione implicita ed esplicita a utilizzarli, e determinate aziende chiedono inoltre una presenza attiva sui social per questioni di comunicazioni interne ed esterne».