Cerca e trova immobili

LUGANOL’appello che arriva dal Ticino: «Una nuova governance per le aree di frontiera»

14.10.24 - 17:22
Lo studio di Remigio Ratti propone alcune soluzioni per migliorare la posizione del nostro cantone: «Bisogna ridare centralità a Bellinzona»
TiPress
L’appello che arriva dal Ticino: «Una nuova governance per le aree di frontiera»
Lo studio di Remigio Ratti propone alcune soluzioni per migliorare la posizione del nostro cantone: «Bisogna ridare centralità a Bellinzona»

LUGANO - Le frontiere cambiano e i problemi mutano. Le nuove sfide richiedono quindi un costante ripensamento delle relazioni internazionali con i paesi che condividono i loro confini con i nostri. La Svizzera non può infatti prescindere dalla collaborazione con il resto dell'Unione Europea. La sua posizione geografica lo impone.

Ma nello specifico con quali situazioni, opportunità, ma anche criticità (economiche, sociali, occupazionali e infrastrutturali) si confronta ognuna delle realtà di confine?

Una nuova collaborazione - È su questo punto interrogativo che si basa lo studio del professor Remigio Ratti, "Ripensare la collaborazione transfrontaliera insubrica. Scenari e proposte", pubblicato dal Gruppo di studio e di informazione “Coscienza svizzera” e presentato oggi a Lugano. Al centro del progetto i limiti e le potenzialità della collaborazione transfrontaliera svizzera. Inoltre, formula alcune proposte che mirano a rafforzare la collaborazione nell’area di confine.

Ma andiamo con ordine. «Il fenomeno della frontiera è a tutto campo, a 360 gradi, e non riguarda più solo le istituzioni, ma ingloba i nuovi grandi assemblaggi di potere economico (come per esempio Google oppure Amazon)», spiega il professor Ratti. Bisogna insomma fare i conti con questi nuovi scenari dettati dalla globalizzazione e trovare le risposte adeguate.

Nuove frontiere - Detto questo, «è la natura stessa degli effetti di frontiera che cambia in tutte le regioni del paese». E il Ticino non sfugge a questa logica, anzi. «Nel nostro cantone le ripercussioni sono fondamentali e influenzano la struttura sociale, la politica e l'economia». Un esempio pratico? L'accordo sulla tassazione dei lavoratori frontalieri. «Dopo anni di discussioni, pensiamo di aver risolto il dumping salariale. Ma dobbiamo guardare le cause dei cambiamenti, l'economia non è fissa. Per i salari bassi, non cambierà niente. Un lavoratore non qualificato che abita al di là della frontiera continuerà a ritenere le remunerazioni svizzere più convenienti (anche con la tassazione)». Diverso invece per quanto riguarda le professioni più qualificate che danno valore aggiunto. «L'economista e il manager italiano resteranno in Italia, oppure guarderanno verso Zurigo e non il Ticino».

Per non subire ma trarre vantaggio da questo contesto, la condizione è che si sviluppi una nuova governance fondata su una migliore integrazione dell’azione delle istituzioni pubbliche a tutti i livelli. Le ipotesi? «Dobbiamo promuovere una riqualifica e un maggior riconoscimento delle aree di frontiera quali aree d'intervento. Elaborando così una comune strategia fra istituzioni locali, cantonali e federali alle istanze europee e regionali dei paesi limitrofi».

Il sostegno delle istituzioni - Guardando al caso ticinese, «sebbene le iniziative locali di collaborazione transfrontaliera siano essenziali, senza un sostegno più articolato delle istituzioni cantonali e nazionali gli effetti negativi della frontiera rischiano di protrarsi, in particolare - ma non solo - nell’ambito del mercato del lavoro e della mobilità».

Sui rischi di una collaborazione frammentata ha invece parlato il professore e direttore dell’Osservatorio della vita politica regionale all’Università di Losanna Oscar Mazzoleni, il cui libro "La cooperazione transfrontaliera. Problemi e attualità" ha ispirato lo studio di Ratti. «Se continuiamo a guardare alla frontiera come un’area unica, il nostro sguardo continuerà a essere parziale». Bisogna ripensare quindi una strategia a lungo termine che risponda alle nuove sfide.

Bisogna avere uno sguardo più ampio - «In questo mondo dell’interconnessione, come le istituzioni possono interconnettersi e collaborare per affrontare i nuovi scenari? Innanzitutto non scindendo il problema della collaborazione transfrontaliera dalle altre questioni che interessano direttamente la realtà ticinese». Tutto è connesso. «Quando vado a Como, non solo vado in Italia, ma anche in Europa».

Per illustrare meglio il nuovo paradigma Mazzoleni ricorre a un altro esempio pratico: i costi degli effetti frontiera nell'ambito della perequazione finanziaria. «Il Ticino riceve un importo che non tutti giudicano sufficiente». La ragione? «Nei parametri usati per definire la compensazione, gli effetti negativi vengono minimizzati. Si ritiene che l'afflusso dei frontalieri sia quasi esclusivamente un vantaggio e che non ci siano dei costi (la mobilità, le infrastrutture)». Per negoziare la perequazione con gli altri cantoni serve quindi guadagnare un'importanza maggiore. E nello specifico Mazzoleni propone una conferenza di tutti i cantoni svizzeri di frontiera.

Ma come si può fare a considerare gli effetti della frontiera se manca un riconoscimento a livello istituzionale del fatto di essere cantoni di frontiera? «Un ripensamento che collega l'aspetto finanziario a quello istituzionale. Se si vuole rilanciare la collaborazione transfrontaliera bisogna ridare centralità e protagonismo al cantone e per farlo ci vuole un maggiore riconoscimento a livello federale».

Entra nel canale WhatsApp di Ticinonline.
NOTIZIE PIÙ LETTE