A intervenire è Matteo Negri, il presidente dell'associazione fontanieri ticinesi.
La presenza di inquinanti nelle acque potabili non è una rarità. Purtroppo capita, dalle rilevazioni periodiche, di scoprire sostanze fuori norma che fanno scattare i divieti. Un ulteriore allarme deriva dalla possibile presenza di Acido Trifluoroacetico (TFA) nelle acque potabili.
Su questo elemento interviene Matteo Negri, il presidente dell'associazione fontanieri ticinesi in un’articolata riflessione.
«La presenza dell’acido ortifloricoltrice (TFA) nelle acque potabili rappresenta una problematica emergente che solleva preoccupazioni ambientali e sanitarie. Il TFA, derivato dalla decomposizione di refrigeranti, solventi e pesticidi, è un composto organofluorato altamente stabile, che persiste nell’ambiente e tende a bioaccumularsi negli organismi acquatici, con possibili effetti negativi sugli ecosistemi. Nonostante la diffusione di questo composto, gli effetti tossicologici del TFA sull’uomo non sono ancora completamente noti. Studi su animali hanno rilevato possibili effetti tossici, tra cui problemi riproduttivi e tossicità epatica, indicando la necessità di ulteriori ricerche per valutare con precisione i rischi per la salute umana. In termini di regolamentazione, attualmente non esistono limiti specifici per il TFA nelle acque potabili nell’Unione Europea».
Un dettagliato excurus che aggiunge come «tuttavia, è previsto che nel 2026 entri in vigore un limite di 500 ng/L per il “totale PFAS” nelle acque potabili, il quale potrebbe includere anche il TFA. In Svizzera, il TFA è stato rilevato in quasi tutti i campioni analizzati, con una concentrazione media di circa 0,765 microgrammi per litro, e la sua presenza diffusa è monitorata dalle autorità, che attualmente adottano un approccio basato sul principio di precauzione, non avendo ancora stabilito norme specifiche per questo composto. Per affrontare il problema del TFA, i fontanieri possono contribuire alla qualità dell’acqua potabile attraverso il monitoraggio regolare delle sue concentrazioni nelle reti idriche. Grazie a tecniche analitiche avanzate come la cromatografia liquida accoppiata a spettrometria di massa (LC-MS), è possibile rilevare il TFA a basse concentrazioni, permettendo una gestione informata del rischio», la prosecuon dell'analisi.
Infine, dal punto di vista del trattamento, «la rimozione del TFA è complessa a causa della sua resistenza ai metodi tradizionali, come la clorazione e la filtrazione con carbone attivo. Tuttavia, tecnologie avanzate come l’osmosi inversa e la nanofiltrazione hanno mostrato un’efficacia superiore, anche se richiedono risorse economiche e manutenzione specializzata. L’assorbimento su resine specifiche rappresenta un’altra tecnologia in fase di sviluppo che potrebbe contribuire alla riduzione del TFA nelle acque potabili su scala più ampia».
La presenza del TFA nelle acque potabili «rappresenta una sfida complessa che richiede monitoraggio costante, innovazione nelle tecniche di trattamento e una gestione informata per garantire la sicurezza dell’acqua e la protezione dell’ambiente», la conclusione.