Dai dolori psicologici (ansia e paura) a quelli fisici (emicrania e cervicale). L'esperta: «Troppi danni da smartphone che banalizziamo».
LUGANO - Ansia, confusione, irritabilità e irrequietezza. Ecco come si presenta la nomofobia, la paura patologica di rimanere senza smartphone (da no-mobile-phone-phobia, ndr.) che si traduce in una dipendenza dello stesso.
Una problematica che in Svizzera è più diffusa di quanto si creda. Lo confermano i dati pubblicati ieri da Comparis: «Oltre il 40% della popolazione mostra segni di dipendenza da smartphone da evidenti a marcati».
Numeri che fotografano un fenomeno troppo spesso marginalizzato. Da qui la necessità di fare chiarezza con chi, ogni giorno, è confrontato con questa dipendenza.
Adolescenti, ma anche adulti e anziani - «Premessa importante: la nomofobia non ha età», chiarisce subito Maria Rigozzi, psicologa specializzata in psicoterapia. «Ho notato nella mia pratica clinica che è un tipo di dipendenza che spazia da qualsiasi fascia». Insomma possiamo vedere l'adolescente, ma anche l'adulto oppure l'anziano, cadere in questa "trappola".
Ma vediamo nel dettaglio come si sviluppa la nomofobia. La grande domanda che dobbiamo porci secondo l'esperta è: “Cosa vogliamo coprire e nascondere con questa dipendenza?”.
«In primo luogo un sentimento di inadeguatezza e di paura verso l’altro». Il movimento automatico della mano che cerca il telefono nella tasca, pochi secondi dopo essere usciti di casa, nasconde infatti un disagio profondo. «Lo facciamo per non confrontarci con lo sguardo degli altri e per non affrontare la società o per avere un illusorio controllo sulle conoscenze, senza permettere al cervello il tempo per processare le informazioni e rifletterci».
Colmare un vuoto - Detto questo, anche l’ansia sociale gioca quindi ruolo attivo. «Chi cade in questa dipendenza ha bisogno di colmare un vuoto». Questo non succede solo fuori casa, ma anche all’interno delle quattro mura domestiche. «Si confondono i momenti senza impegni con la noia e subito si ricorre al cellulare. Ma è solo un modo per sfuggire ai propri pensieri evitando di guardare dentro sé stessi».
Ma il punto davvero dolente: come fare a disintossicarsi? «La presa di coscienza della dipendenza è il primo passo. Rendersi conto delle ore passate davanti allo smartphone aiuta a contestualizzare il problema. In secondo luogo bisogna capire come viene utilizzato il telefonino. Come mi sento quando ne abuso?».
E poi ci sono alcuni semplici esercizi che possono aiutare. «In bus oppure in viaggio per andare al lavoro si può rompere quell’automatismo di prendere immediatamente il telefono in mano». I benefici sono subito evidenti. «Si percepisce che si riesce a rallentare il ritmo. Lo sguardo torna lontano e non è concentrato sul dispositivo e il corpo si rilassa più facilmente».
Tra sensibilizzazione e banalizzazione - Se il fenomeno tra gli esperti è noto ed è oggetto di numerosi studi, la popolazione non riconosce ancora tutti i rischi che ne derivano. «C'è ancora una grande tendenza a banalizzare», ci conferma Rigozzi. «Spesso critichiamo l’adolescente incollato allo schermo, senza renderci conto che ci comportiamo esattamente allo stesso modo. È diventata una pratica comune».
Gli allarmi però non mancano, anzi. «Molte ricerche scientifiche hanno appurato che la nomofobia crea disturbi alla concentrazione». Sul banco degli imputati lo scrolling, cioè lo scorrimento continuo di contenuti video brevi. «Veniamo bombardati in un tempo di pochi secondi da decine di video e stimoli. Il nostro cervello immagazzina un enorme quantità di informazioni. Diventa poi difficile concentrarsi su qualcosa d’altro».
I danni però non si limitano alla sfera neurologica. La dipendenza dagli smartphone incide anche sulla postura del corpo. «Ci sono tanti pazienti che lamentano emicranie o dolori alle cervicali. Si notano anche dita delle mani leggermente incavate e deformate a causa dell'utilizzo smisurato dei dispositivi, così come un aumento di frequenza sulla sindrome del tunnel carpale».