Lo sfogo del gerente di un postribolo: «Si fa fatica anche solo ad aprire un conto in banca». Vincenza Guarnaccia: «Lo stigma resiste»
MENDRISIO - Il mestiere più antico del mondo è destinato a non morire mai? Forse, anche se è da un po', a quanto pare, che non se la passa così bene. Un primo duro colpo lo ha assestato il Coronavirus. Chiusure, difficoltà negli spostamenti, paure e crisi hanno iniziato a intaccare un settore che in Ticino sembrava florido. Almeno all'apparenza, perché diverse realtà "minori" sono cadute come mosche mostrando di fatto la presenza di punti deboli.
Lo stigma di un settore - Poi la timida ripresa, anche se i problemi (a quanto pare) non sono affatto finiti. Quello che giunge alle nostre orecchie è uno sfogo. A vuotare il sacco, colmo di frustrazione, è il titolare di un noto locale a luci rosse del Mendrisiotto. «La nostra è un'attività lecita e in regola. Nonostante ciò lo stigma resta, e fa sì che anche le cose più semplici diventino complesse».
L'esempio è presto fatto: «Abbiamo provato ad aprire un conto in banca, la prassi per un'attività commerciale. Ebbene, siamo stati rimbalzati da tutte le banche. Solo La Posta ci ha accettato».
Non solo. Anche varie compagnie d'assicurazione avrebbero voltato le spalle al "night club". «Ci hanno appena mandato la disdetta della LAINF e persino della copertura dello stabile. Perché? Forse per ragioni di marketing... anche se hanno preferito addurre motivazioni etiche. Per una questione morale veniamo trattati come fossimo un’attività illecita».
«Così si favorisce il nero» - Il tenutario è amareggiato. E non lo nasconde: «Se vogliamo che queste realtà vengano gestite come attività normali, devono poter avere dei conti bancari. In caso contrario le autorità fiscali non abbiano da dire se ci trovano un milione o due sotto il materasso». Nel settore, secondo il gerente, questo circolo vizioso favorisce il "nero", rendendo difficile la gestione di un’attività. «Qui si tratta di pagare gli stipendi tramite conto bancario, di permettere al dipendente di chiedere un prestito, accendere un mutuo… Non vi va bene? Non ci volete? Chiudete i postriboli e risarciteci. Altrimenti, laddove c’è una licenzia e una situazione che vuole essere in regola, non vedo perché si debba accettare di essere trattati come spacciatori».
Non un caso isolato - Il trattamento riservato al locale a luci rosse del Mendrisiotto non sembra essere un caso isolato. Altre realtà, anche piuttosto note, proprio di recente hanno dovuto affrontare problemi simili (in particolare legati a disdette delle coperture assicurative).
«Non dipende dal settore economico» - «Per quanto riguarda le assicurazioni di persone, perseguiamo una strategia attiva di gestione dei contratti», ci spiegano da la Mobiliare. «Sono svariati i motivi che possono determinare la scissione di un contratto (per esempio, una sinistrosità nettamente superiore alla media, oppure il mancato pagamento dei premi per un periodo di tempo prolungato) e non dipendono dal settore economico per cui il contratto è stato stipulato. Non entriamo però nel merito di clienti specifici».
Le altre compagnie di assicurazione contattate non hanno risposto alle nostre domande per fornire delucidazioni al riguardo.
«Lo stigma esiste» - Primis (settore di Zonaprotetta che si rivolge alle professioniste del sesso per promuovere la salute sessuale e i diritti correlati a questa categoria professionale), su questa "svolta etica" degli assicuratori non ha informazioni. Tuttavia conferma l'esistenza nella società contemporanea di uno stigma, ancora molto forte, verso la categoria.
«Vi è un pregiudizio, proprio a livello culturale, nei confronti di chi esercita questo mestiere», ci conferma Vincenza Guarnaccia, coordinatrice di Primis. «Non a caso - spiega - abbiamo lanciato il progetto “#Rispetto". Il progetto, finanziato da FedPol, offre consulenze mirate sul tema della prevenzione della violenza. L’obiettivo è quello di rafforzare nelle professioniste del sesso le competenze per gestire la propria attività in autonomia e sicurezza, salvaguardando l’integrità fisica e psichica. L'idea è quella di lavorare culturalmente contro questo stigma permettendo di evitare che vi siano forme di violenza».
Pregiudizio duro a morire - Il pregiudizio sarà prima o poi debellato? Guarnaccia ne dubita. «Purtroppo è difficile crederlo. Quando è interiorizzato è molto più difficile andare a scardinarlo. Cerchiamo tuttavia di dare il nostro contributo, ad esempio sdoganando definizioni differenti quando parliamo di questo mestiere. Un esempio: non usiamo più il termine prostitute, ma lavoratrici del sesso».
«Cambiamo vocabolario» - Vi sono definizioni, infatti, ormai pregne di tutta una serie di connotazioni negative: «Sono termini stigmatizzanti, che includono una precisa carica morale. Lo dimostra il fatto che vengano usati in modo offensivo quando ci si rivolge a una donna».
Insomma, per Guarnaccia è il punto di vista che deve mutare: «Mentalmente releghiamo queste donne - che poi ci sono anche uomini che svolgono questo mestiere -, al loro ambiente di lavoro. Non pensiamo di poterle incontrare al supermercato o al ristorante. Insomma, le rifiutiamo ghettizzandole. Ma ricordiamoci che oltre a svolgere il loro lavoro sono figlie, sorelle, madri e mogli. Sono persone che amano e soffrono, proprio come tutti noi».