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CANTONEAccoltellò l'uomo che frequentava: «Mi ha spaventata, cercavo di difendermi»

03.04.24 - 13:30
La donna, una 43enne del Mendrisiotto, avrebbe sferrato vari fendenti con un coltello per tagliare il pane.
Tipress (simbolica)
Accoltellò l'uomo che frequentava: «Mi ha spaventata, cercavo di difendermi»
La donna, una 43enne del Mendrisiotto, avrebbe sferrato vari fendenti con un coltello per tagliare il pane.

MENDRISIO - «Avevo il coltello in mano, ma non l'ho colpito. Lui mi metteva le mani addosso e io cercavo di difendermi». È quanto ha sostenuto oggi, alle Assise criminali di Mendrisio, la 43enne svizzera accusata di aver accoltellato e tentato di uccidere l'uomo che frequentava, un 41enne portoghese, il 17 febbraio 2023.

Stando a quanto emerso dalle indagini, la notte dei fatti la donna ha attaccato l'uomo con un coltello per tagliare il pane, tentando di colpirlo all'addome e al torace e riuscendo a raggiungere l'avambraccio sinistro e la mano sinistra.

«È umano sbagliare» - «Quella sera lui è venuto a casa mia, abbiamo bevuto e preso pastiglie», ha raccontato l'imputata. «Gli ho detto che non volevo più stare con lui perché volevo indietro mio figlio (che le era stato tolto ndr.). Lui ha dato un pugno al tavolo e io mi sono spaventata, sono andata in cucina e ho preso la prima cosa che ho trovato, cioè il coltello, e l'ho minacciato puntandolo verso di lui. Lui mi ha spinta e io sono caduta, poi ha cercato di disarmarmi prendendo il coltello con la mano, io ho visto del sangue e non ci ho più visto».

La 43enne ha quindi cercato di giustificarsi: «Sono sempre stata una pazza, ma sono stufa delle botte degli uomini. Voglio indietro la mia vita, ho sbagliato è vero, ma voglio solo mio figlio. È umano sbagliare».

«Mi sono data la colpa, ma il mio cervello era andato» - Il giudice Amos Pagnamenta ha però sottolineato che nel corso dell'inchiesta la donna ha fornito versioni contrastanti rispetto all'accaduto e che inizialmente aveva dichiarato di avere colpito il 41enne volontariamente. «La versione del primo verbale è sbagliata. Mi sono data la colpa da sola ma ero fuori, era tanto tempo che facevo uso di sostanze e avevo bevuto vodka. Il mio cervello era andato».

Urla nella notte - A destare ulteriori sospetti è però la testimonianza di una vicina di casa, che sostiene di aver sentito la donna urlare "Ti ammazzo, ti ammazzo". «Durante la discussione lei ha minacciato di morte la vittima?», ha chiesto Pagnamenta. «Può essere, sì», ha risposto lei. «Quando sono arrabbiata dico tante cose, ma non ho mai picchiato né ammazzato nessuno. Ora non ricordo ma probabilmente l'ho detto perché lui mi stava insultando o offendendo».

Ma il giudice vuole vederci chiaro. «Si ricorda che dopo l'accaduto lei ha detto alla polizia: "È ancora vivo? L'ho accoltellato, e allora?"», l'ha incalzata. «No, non ricordo».

Droga nel sangue del figlio di due anni - Si è poi parlato delle accuse relative ad altri avvenimenti, in particolare dell'ipotesi di reato di violazione del dovere di assistenza ed educazione. Nel 2021 il figlio della donna, che allora aveva solo due anni, è infatti risultato positivo a cocaina, anestetici e caffeina. In più occasioni, come attestato da testimoni e osservato in alcuni filmati, la donna ha inoltre ripetutamente preso a sberle il bambino, mettendo in pericolo il suo sviluppo fisico e psichico. «Ho perso il controllo, dopo che ci siamo lasciati il padre di mio figlio mi minacciava», ha affermato la 43enne. E, riguardo alla droga: «Prendevo pastiglie a base di oppiacei e c'era un mio conoscente che fumava cocaina in casa. Probabilmente gli oppiacei sono entrati nel corpo di mio figlio attraverso il mio sudore».

Tutto rimandato: «Non è più dipendente da sostanze» - Al termine dell'interrogatorio la Corte si è infine riunita in camera di consiglio e ha ritenuto adeguato sospendere l'odierno dibattimento per effettuare nuove verifiche. «Oggettivamente l'imputata non è più dipendente da sostanze, essendo ormai da oltre un anno in carcerazione», ha spiegato il giudice Pagnamenta. «La Corte ha quindi ragione di nutrire dei dubbi rispetto all'adeguatezza della misura proposta dalla perita psichiatrica, cioè una detenzione da scontare sotto forma di trattamento stazionario contro la tossicodipendenza. Occorre un aggiornamento delle conclusioni peritali, bisogna rivalutare la situazione di salute dell'imputata». La donna è infatti affetta da turbe psichiche, le quali potrebbero richiedere un trattamento specifico e portare alla scelta di un altro tipo di struttura detentiva.

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