Matteo Pronzini interroga il Governo in merito alle procedure di controllo non sempre capaci di frenare le infiltrazioni mafiose
BELLINZONA - La presenza di organizzazioni mafiose in Ticino - unitamente all’assenza di sistemi di controllo efficaci per arginare il fenomeno, confermata lo scorso anno dal presidente dell’Associazione delle polizie comunali ticinesi Dimitri Bossalini - sono oggetto di un’interrogazione presentata oggi al Consiglio di Stato da Matteo Pronzini.
A preoccupare il deputato MPS sono in particolare i casi di persone sospettate di avere relazioni con N’drangheta che entrano in Ticino come notificati, che a tal proposito richiama una precedente interrogazione riguardante la presenza della figlia di un boss a Bissone. La donna, dal luglio del 2015, risiede in Svizzera assieme ai tre figli.
Il fatto di essere «una persona appartenente ad una famiglia mafiosa» non le ha impedito di ottenere il permesso B e di diventare amministratrice di una società a Grono, nei Grigioni. E anzi la stessa - secondo la giurisprudenza italiana - sarebbe, assieme al marito (già colpito da un divieto di entrata in Svizzera e nel Lichtenstein per 4 anni) prestanome al servizio del clan.
«A queste quattro persone - prosegue Pronzini - si aggiunge anche il socio in affari della figlia del boss per l’impresa di Grono. Secondo i media si tratta di un giovane appartenente a una famiglia mafiosa alleata. In totale ben 5 persone con legami sospetti o avverati a un clan ‘ndranghetista basato in Lombardia e almeno tre imprese sono state attive e continuano ad esserlo nella Svizzera italiana negli ultimi due anni. È evidente che le pratiche adottate finora non servono ad evitare le infiltrazioni mafiose. Questa situazione risulta tanto più aberrante se si pensa che dal Ticino vengono espulse persone e famiglie che hanno l’unica colpa di aver perso il lavoro e di richiedere l’assistenza sociale».
Alla luce di quanto evidenziato scattano quindi le domande in merito ai controlli. «Stando ai dati dell’Ustat, oltre il 73% delle ore di lavoro svolte in Ticino dal totale dei notificati è da imputare alle “assunzioni di impiego”, cioè lavoratori direttamente assunti da imprese con sede in Ticino per un massimo di 90 giorni. Meno di un terzo viene assunto tramite agenzie di prestito personale svizzere. Tramite quali canali vengono assunti gli altri?», chiede quindi il deputato, invitando inoltre l’Esecutivo a chiarire come «viene valutata la potenziale pericolosità di una persona se l’estratto del casellario giudiziale non riporta nessuna condanna».
Le domande al Consiglio di Stato