Dalle ricostruzioni dell'interrogatorio sostenuto dalla cooperante italiana emergono i dettagli sulla prigionia.
ROMA - Durante la sua prigionia Silvia Romano non ha subito violenza fisica e si è convertita spontaneamente all'islam. Questi sono due degli elementi sui quali le ricostruzioni dell'interrogatorio della giovane fatte dalla stampa italiana concordano.
Davanti agli inquirenti che domenica l'hanno sentita per circa quattro ore dopo il suo rientro in Italia, la 25enne avrebbe assicurato di non essere mai stata picchiata e di non aver subito violenze. Durante i 18 mesi di prigionia la giovane sarebbe sempre stata con lo stesso gruppo di carcerieri che, poco dopo il sequestro, l'hanno presa in consegna dagli uomini che l'avevano fisicamente rapita nel villaggio keniota in cui lavorava come volontaria.
L'avrebbero trasferita dal Kenya alla Somalia muovendosi in moto e a piedi già nel dicembre del 2018, nemmeno un mese dopo il rapimento. La cooperante sarebbe poi stata spostata ogni 3-4 mesi in un nuovo covo per mezzo di lunghe marce a piedi. Nei luoghi della sua prigionia, che si trovavano presumibilmente non lontani da villaggi, Silvia Romano sarebbe stata sempre tenuta sola in una stanza chiusa, alla quale i suoi sequestratori sarebbero acceduti sempre e solo a volto coperto. Secondo quanto riferisce il Fatto Quotidiano, sarebbero anche sempre stati armati.
A loro Silvia Romano avrebbe chiesto un quaderno e, successivamente, una copia del Corano. Il primo sarebbe diventato un dettagliato diario della sua prigionia, sequestrato dai suoi rapitori poco prima della liberazione. Il testo religioso, invece, sarebbe stato all'orgine di una conversione all'islam che la 25enne assicurerebbe essere stata spontanea e frutto di una lunga riflessione. Secondo fonti vicine agli inquirenti, però, questa scelta potrebbe essere stata determinata dalla situazione di dipendenza psicologica dai suoi sequestratori indotta dalla prigionia.
Silvia Romano era stata rapita il 20 novembre 2018 nel villaggio Chakama, a nord ovest di Malindi, dove era attiva per la ong italiana Africa Milele. Grazie alla collaborazione dei servizi segreti italiani, somali e turchi, è stata liberata venerdì scorso nei pressi di Mogadiscio. È rientrata in Italia ieri.