Quella di Saman Abbas è solo l'ultima vita spezzata per aver rifiutato un matrimonio combinato
Per molte di loro che muoiono, ce ne sono migliaia che si sposano, accettando una tradizione a loro imposta
NOVELLARA - Strangolata e gettata in una fossa scavata dal suo stesso zio con l'aiuto di alcuni cugini.
È questa l'ipotesi, che sta diventando sempre più concreta, relativa alla scomparsa di Saman Abbas, ragazza pakistana di Novellara (Reggio Emilia), recentemente sparita nel nulla. È quanto è emerso - racconta il Corriere della Sera - dall'ultima testimonianza ai carabinieri, quella del fratellino 16enne di Saman, che ha raccontato di uno scenario sconvolgente, che comprende un omicidio premeditato e perpetrato dallo zio (ricercato in Europa) e la sofferenza del padre, che cede al pianto dopo aver appreso quanto accaduto alla figlia, uccisa per aver rifiutato un matrimonio forzato con un connazionale, organizzato proprio dai genitori.
Un'ipotesi rafforzata anche dalle immagini di una telecamera di sorveglianza, che ha inquadrato lo zio e due cugini avanzare armati di vanghe, presumibilmente per andare a scavare la fossa dove abbandonare il corpo della vittima. Le ricerche proseguiranno nei prossimi giorni a Novellara, dove la ragazza viveva con la famiglia che aveva persino denunciato, ai servizi sociali, proprio per scampare alla costrizione di sposarsi forzatamente con uno sconosciuto.
Tante giovani vite spezzate
La sua storia è simile a quella di tante altre ragazze uccise per non soccombere al dramma di un matrimonio forzato: Hina Saleem perse la vita per pagare la colpa di voler vivere all’occidentale, Sana Cheema venne massacrata a soli 25 anni, durante un viaggio in Pakistan, per aver rifiutato le nozze combinate dalla famiglia.
In India, una ragazza sedicenne è stata data alle fiamme per aver rifiutato il matrimonio combinato dalla famiglia. Nomi, volti, drammi di ragazze che ovunque, nel mondo, pagano con la vita il diritto alla propria autodeterminazione. Per molte di loro che muoiono, ce ne sono migliaia che si sposano, accettando la tradizione famigliare imposta loro.
«Avevo 12 anni quando ho saputo che il mio matrimonio era stato combinato. È stato terribile abbandonare la scuola ed i miei amici. Tutti i miei sogni si sono spezzati all’istante» racconta Sunita, 16 anni dello stato di Bihar in India. Una vita spezzata in giovanissima età per seguire il volere della famiglia.
Una crisi esacerbata dal Covid
L’attuale pandemia ha peggiorato di molto le cose, dopo anni in cui si iniziavano a vedere dei timidi miglioramenti: secondo un rapporto dell’Organizzazione non governativa Save The Children, ci sarebbero 500'000 ragazze in più nel mondo che sarebbero costrette al matrimonio forzato a cui si aggiungono un milione di gravidanze precoci, causa principale di morte delle giovani di età compresa tra i 15 ed i 19 anni.
Secondo quanto emerge dal documento ‘The Global Girlhood Report 2020: Covid-19 and progress in peril’ diffuso da Save The Children nel 2020, in Asia, soprattutto nella parte meridionale del continente, i matrimoni forzati sarebbero circa 191.000, in Africa centrale e occidentale circa 90.000 e in America Latina e nei Caraibi 73.000. Lo afferma con chiarezza Daniela Fatarella, direttrice generale di STC Italia, «Il rischio sempre maggiore di violenze e sfruttamento sessuale e la crescente insicurezza alimentare, specialmente nelle emergenze umanitarie, fanno sì che i genitori non vedano molte altre alternative a quella del matrimonio forzato, che avviene con uomini molto più vecchi delle figlie».
L’impegno preso alla Conferenza mondiale sulle Donne di Pechino del 1995 ha consentito di prevenire oltre 78,6 milioni di matrimoni precoci. La pandemia ha, invece, vanificato tanti sforzi fatti in questo senso determinando una inversione di tendenza proprio nei Paesi poveri colpiti maggiormente dall’emergenza sanitaria in corso. La pandemia, come accaduto per tanti aspetti della nostra vita, ha amplificato problemi già esistenti. La verità è che il matrimonio combinato è una realtà in tantissimi luoghi al mondo, primi fra tutti Africa, Asia ed alcuni Paesi
dell’Europa orientale.
In Madagascar, ad esempio, i matrimoni vengono combinati dai genitori delle ragazze che vengono stigmatizzate come ‘maledette’ se rifiutano tale imposizione. In Mauritania è previsto il matrimonio forzato con un cugino, chiamato maslaha, il matrimonio forzato con un uomo ricco per aiutare economicamente la famiglia e il matrimonio poligamo con una persona influente per assurgere alla scala sociale. In Sudafrica vi è ancora l’uso dell’ukuthwala, ossia il rapimento delle ragazze per costringersi a sposarsi. Un rapporto sconvolgente del 2009 parla di oltre 20 ragazze al mese costrette ad abbandonare la scuola perché rapite e costrette a sposarsi. In Pakistan, dove il matrimonio forzato è formalmente illegale, è ancora una pratica molto diffusa e viene usato per risolvere problemi famigliari e mantenere la pace all’interno della propria comunità. Il medesimo discorso vale per l’Afghanistan e l’Iran, dove tante ragazze sono indotte al suicidio pur di evitarlo. In Nepal, le ragazze sono considerate un peso economico per la famiglia che se ne liberano dandole in sposa a uomini molto più vecchi di loro.
Un problema «universale»
Il progressivo aumento del fenomeno migratorio di questi ultimi 20 anni, ha fatto sì che anche i Paesi occidentali si confrontassero con la problematica di tale pratica. In Germania, il Ministero federale per le famiglie, stimava già nel 2011 che oltre 3 mila persone, il 30% delle quali minorenni, erano state coinvolte in matrimoni combinati, mentre in Svizzera, dal 1 luglio 2013, si è adottata una legge per lottare contro i matrimoni forzati che possono essere perseguiti d’ufficio e puniti con la pena detentiva.
Secondo la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo «Il matrimonio potrà essere concluso soltanto con il libero e pieno consenso dei futuri coniugi». Partendo da questa definizione, si fa più chiara la distinzione giuridica tra matrimonio combinato e matrimonio forzato. Nel primo caso l’unione di due persone avviene con l’intervento dei genitori di una delle parti, o di un terzo intermediario, ma nel rispetto della volontà dei futuri sposi. Nel matrimonio forzato, come quello in cui si trovano ingabbiate milioni di bambine e giovani ragazze nel mondo, la volontà della donna non ha alcun rilievo, prevalendo invece dinamiche familiari da tutelare o interessi economici.
Solitamente le due tipologie di matrimonio vengono accomunate sotto la dicitura ‘matrimonio combinato’ anche se, solo nel secondo caso, si ricade in una tipologia di unione che viola i diritti fondamentali delle persone come la dignità e la libertà personale. Vi è da dire, però, che, a prescindere da una distinzione formale, troppo spesso, anche nei matrimoni combinati, non è possibile appurare quanto sia stata rispettata la volontà dei promessi sposi, specialmente quella della donna, e quanto invece gli stessi si pieghino comunque ad una tradizione familiare non contestabile.
Non sono pochi i Paesi in cui una figlia femmina rappresenta un grosso problema: storicamente, infatti, non rientra nel novero della forza lavoro della famiglia ed inoltre si sente l’esigenza pressante di tenere sotto controllo la sue sfera personale e sessuale. Dare coattivamente in sposa la propria figlia, giovanissima e illibata, magari ad una persona abbiente anche se di molto più anziana, rappresenta una tragica vittoria per la famiglia che viene sgravata da un gravame dal punto di vista economico e sociale.
India, una tradizione diffusa
In un mondo in continua evoluzione, anche le modalità di organizzazione dei matrimoni combinati sono cambiate. Ne è un esempio il docu-film trasmesso da Netflix dal titolo ‘Indian Matchmaking’ che illustra il certosino lavoro dei cosiddetti ‘matchmakers’, ossia persone che lavorano per far incontrare due persone giudicate tra loro compatibili. Come spiega una di loro, Sima Taparia matchmaker a Mumbai, «In India non parliamo di matrimoni combinati ma di matrimoni e matrimoni d’amore», chiarendo così il fatto che in India i matrimoni combinati siano una tradizione ancora largamente diffusa ed accettata.
La consuetudine di rivolgersi ai matchmakers indiani è stata approfondita anche dal New York Times che, in un suo articolo, ha raccolto le testimonianze di entusiaste ricche signore indiane che si dicevano soddisfatte di essere convolate a giuste nozze in questo modo: «I matrimoni d’amore o combinati sono solo dei termini - dice Anokhi Shah, consulente di pubbliche relazioni di Anversa che ha sposato in questo modo un connazionale commerciante di diamanti - importa se alla fine trovi la felicità».
Non può però non notarsi l’abissale differenza che passa tra una donna emancipata e finanziariamente autonoma che decide, liberamente, di aderire ad una tradizione del proprio Paese, ed una ragazzina, se non bambina, inconsapevole che viene strappata all’infanzia per essere data sposa, diciamo venduta, ad un illustre sconosciuto che farà di lei moglie e madre.