La registrazione risale al marzo del 1993 ed è stata scoperta negli archivi del Tribunale di Marsala.
Sul nastro magnetico una trentina di minuti, registrati durante un'udienza per il processo Accardo, un caso di omicidio avvenuto nel trapanese. Il procuratore nazionale antimafia Cafiero De Raho: «Sentire la sua voce è molto importante per riscontri e comparazioni».
TRAPANI - Matteo Messina Denaro è da ieri un po' meno un fantasma. La voce del super boss, latitante da ormai 28 anni e ultimo "architetto" ancora in libertà di quella campagna stragista che Cosa nostra condusse in Italia tra il 1992 e il 1993, è stata ascoltata ieri per la prima volta grazie a un documento presentato dal Tg1 della Rai.
Una trentina di minuti, impressi su nastro magnetico, risalenti a un'udienza tenuta presso il Tribunale di Marsala, il 18 marzo del 1993. A quell'epoca "U Siccu" - così veniva soprannominato ai tempi, in virtù del suo fisico asciutto, prima di diventare solamente "Iddu" (lui, in siciliano), come Bernardo Provenzano - aveva 31 anni. Il boss era stato convocato per testimoniare al processo Accardo, uno dei tanti delitti di mafia avvenuti nel trapanese, in questo caso a Partanna, in quel periodo.
«Senta, ricorda se fu sentito dalla squadra mobile di Trapani, dopo la morte di un certo Accardo Francesco da Partanna?», chiede il pubblico ministero. «Guardi - risponde Messina Denaro -, io, in quel periodo ho subito decine d'interrogatori per ogni omicidio che è successo». Partanna confina con Castelvetrano, uno dei quattro mandamenti della geopolitica mafiosa della provincia nonché "feudo" dei Messina Denaro sin dai primi anni ottanta, quando a comandare era Francesco, il padre del super latitante, fedelissimo del "Capo dei capi", Totò Riina.
La voce del fantasma è rimasta celata in quella cassetta per quasi un trentennio ed è riemersa dagli archivi del tribunale lilibetano grazie al lavoro di un'associazione antimafia. Due mesi e mezzo dopo aver impresso le sue parole su quel nastro, dopo quel «Può andare signor Messina Denaro. Grazie a lei, buongiorno», il boss si sarebbe dato alla latitanza, scomparendo. Un ritorno a quella "regola" del giunco che per decenni, prima della sanguinosa escalation corleonese, era stata la dottrina madre delle cosche mafiose. «Càlati juncu ca passa la china», recita un noto proverbio siciliano: «Piegati giunco finché non è passata la piena». Ossia, armati di pazienza e aspetta che arrivino tempi migliori.
L'importanza di aver sentito la sua voce
La fine dello scontro frontale con lo Stato. Le bombe che cessano di esplodere. I fucili che smettono di sparare. La trattativa. Matteo Messina Denaro ha atteso e oggi è al contempo l'ultimo capo di quella vecchia mafia stragista e l'emblema di una nuova e moderna mafia imprenditoriale, che «inquina la vita pubblica del Paese», per citare il giornalista Lirio Abbate, senza aver bisogno di sparare. Oggi Messina Denaro ha 59 anni. Il suo volto attuale è sconosciuto. Le sue ultime foto in mano agli inquirenti sono ormai ingiallite. Ma ora che si conosce la sua voce, il cerchio attorno al super latitante si restringe un poco di più. Averla sentita «è qualcosa di davvero importante» ha detto ai microfoni del Tg1 il procuratore nazionale antimafia italiano, Federico Cafiero De Raho.
«Negli anni sono state arrestate centinaia di persone facenti parte della rete che ne ha favorito la latitanza e sono stati sequestrati tre miliardi di euro». Nei confronti del boss ci sono «attività investigative da anni, Carabinieri, Polizia e Guardia di finanza hanno documenti sonori idonei anche a riscontri e comparazioni laddove si rendesse necessario». «È qualcosa - ha affermato Cafiero De Raho - su cui facciamo grandissimo affidamento».