Queste le parole di Salah Abdeslam durante l'ultima udienza del processo per gli attentati del 13 novembre a Parigi.
La procura chiede per Abdeslam l'ergastolo senza possibilità di ricorso. Ma lui si difende: «Quella sera rinunciai ad azionare la cintura esplosiva per umanità. Se mi condannate per omicidio commettereste un'ingiustizia».
PARIGI - «Ho sbagliato ma non sono un assassino»: con un ultimo ciclo di udienze si è chiuso oggi il maxi-processo per gli attentati del 13 novembre 2015 tra lo Stade de France, le brasseries del centro di Parigi e il Bataclan.
Questa mattina, i quattordici imputati presenti hanno avuto l'ultima occasione di esprimersi dinanzi ai giudici della corte d'assise speciale nell'aula bunker dell'Ile-de-la-Cité, nel cuore di Parigi, prima della sentenza attesa per mercoledì.
«È vero, ho commesso errori, ma non sono un assassino, non sono un killer, se mi condannate per omicidio, commettereste un'ingiustizia», ha detto nella sua ultima dichiarazione dinanzi all'aula stracolma del Palazzo di Giustizia, Salah Abdeslam, principale imputato nonché unico membro ancora in vita dei commando jihadista che quella notte causò 130 morti e 350 feriti.
Durante il processo cominciato lo scorso settembre - il più lungo dal dopoguerra in Francia - l'ex primula rossa di 32 anni per lunghi mesi uomo più ricercato d'Europa prima della cattura il 16 marzo 2016 a Molenbeek (Bruxelles) si è mostrato ambivalente, oscillando tra l'arroganza dei primi giorni, quando si proclamò «combattente dello Stato islamico», a quando invece, sul finire, ha espresso «condoglianze e scuse alle vittime».
Poco convinta da questo «numero da equilibrista», la procura antiterrorismo invoca per lui l'ergastolo senza possibilità di ricorso, la condanna più pesante prevista dall'ordinamento penale francese. Dinanzi ai giudici, Abdeslam si è difeso assicurando che quella notte rinunciò ad azionare la cintura da kamikaze, come previsto, in un bar del XVIII/o arrondissement, sulle pendici di Montmartre, per «umanità».
«L'opinione pubblica pensa che stessi ai tavolini dei bar a sparare sulla folla, che fossi al Bataclan. Sapete che questo è l'opposto della verità», ha dichiarato oggi l'imputato nato in Belgio da genitori marocchini ma naturalizzato francese, dedicando le sue «ultime parole» alle vittime.
Per uno dei legali di Abdeslam, Olivia Ronen, l'ergastolo senza possibilità di ricorso richiesto contro di lui equivale a una «pena di morte lenta». La stessa condanna è stata richiesta per il suo amico d'infanzia, Mohamed Abrini, il cosiddetto "uomo col cappello" degli attentati di Bruxelles (marzo 2016) che ha riconosciuto un coinvolgimento anche in quelli parigini.
«Non ho atteso questo processo per avere rimorsi o rimpianti», ha dichiarato il quarantunenne imputato aggiungendo: «Ho messo dei volti sulle vittime, sono consapevole di quanto ciò che è accaduto sia immondo».
Dei quattordici imputati presenti al Palazzo di Giustizia molti si sono alzati uno a uno per esprimere «pentimento», «scuse» e «condoglianze» alle vittime. Tre altri contro cui è stato richiesto il carcere a vita - Osama Krayem, Sofien Ayari e Mohamed Bakkali - hanno preferito restare in silenzio.
«Il dibattimento è chiuso», ha dichiarato il presidente della corte, Jean-Louis Périès, al termine di questa 148esima giornata di udienze. In totale sono venti gli imputati nel processo: i 14 che hanno partecipato più altri sei processati in loro assenza (cinque sono dati per morti).
Le pene richieste vanno dai cinque anni all'ergastolo. La corte si ritira adesso per deliberare in una caserma della regione parigina tenuta top secret per motivi di sicurezza. Dopodomani il verdetto per uno degli episodi più bui della recente storia europea, con 130 morti innocenti.