È stato quasi ultimato il piano d'azione dell'arcipelago per far fronte ai cambiamenti climatici
SUVA - Da anni si parla di quelle che saranno le conseguenze del surriscaldamento globale sul pianeta: lo scioglimento dei ghiacciai porterà all'innalzamento del livello di mari e oceani e, di conseguenza, le aree costiere saranno sommerse. Un conto è discutere di tali problemi pensando a un orizzonte temporale vago, un altro è essere alle prese con un gigantesco piano d'azione per trasferire intere comunità in aree più elevate e non a rischio immediato.
Ciò sta avvenendo nell'arcipelago delle Fiji, dove - come spiega un approfondito reportage del quotidiano britannico Guardian realizzato con il Judith Neilson Institute - una task force speciale governativa sta stilando un corposo piano da 130 pagine, con un nome ben poco accattivante ("Standard Operating Procedures for Planned Relocations") ma un obiettivo ambizioso e decisivo: il ricollocamento di chi, ora o tra poco tempo, finirà sott'acqua.
Sei villaggi già trasferiti - Gli sforzi del governo sono senza precedenti: attualmente sei villaggi sono già stati spostati e 42 sono quelli interessati da un potenziale trasferimento entro cinque o massimo dieci anni. Il tutto senza contare i fenomeni estremi imprevedibili, come tifoni e uragani, che potrebbero allungare la lista delle realtà da ricostruire altrove. Ed è qualcosa di estremamente complesso: «Non si tratta solo di prendere 30 o 40 case in un villaggio e spostarle più in alto. Vorrei che fosse così semplice» ha dichiarato Satyendra Prasad, ambasciatore delle Fiji alle Nazioni Unite. Oltre alle abitazioni private bisogna ricreare l'intera infrastruttura viaria, la rete idrica e quella elettrica, ripensare a scuole, ospedali e anche ai cimiteri. Il tutto innesca una serie di quesiti pratici, ma anche morali e spirituali.
Vunidogoloa, il primo - Il primo villaggio trasferito? Quello di Vunidogoloa, 140 abitanti sull'isola di Vanua Levu, la seconda per dimensioni dell'arcipelago. Il primo dibattito specifico sul trasferimento è stato affrontato nel 2004, ma se ne parlava già dagli anni Cinquanta. Il precedente insediamento è, oggi, una località fantasma: i 20 edifici superstiti hanno tetti cadenti, porte che sbattono a causa del vento e la vegetazione che si sta facendo largo. Il villaggio oggi si trova a circa un chilometro e mezzo di distanza e a un'altitudine maggiore. Ci sono voluti circa dieci anni affinché il sedime fosse pronto.
Procedura standardizzata - Gli errori compiuti con i primi sei trasferimenti sono stati recepiti e assimilati, così da non ripeterli in futuro. Tra le difficoltà c'è anche la discrezionalità delle decisioni, che spettava solo al capo villaggio e a enti locali. Ora, invece, la procedura sarà standardizzata e verrà avviato un iter che prevede l'esame del livello della minaccia, gli eventuali interventi da compiere e, come misura estrema, il trasferimento in altra sede.
Il banco di prova mondiale - La task force ha quasi completato il documento, che presto sarà presentato alle istituzioni nazionali. La nazione funge da banco di prova di un'emergenza che ormai non è più remota. «Nessun altro paese, per quanto ne so, è progredito così tanto nel pensare a come prendere decisioni di ricollocazione pianificate a livello nazionale» ha dichiarato l'esperta della materia, Erica Bower, che ha collaborato con il governo figiano e con l'Onu.