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GUERRA IN UCRAINAIl Kursk, l'inverno e Trump... Come proseguirà la guerra?

23.08.24 - 06:30
La fine del conflitto - che nel 2025 entrerà nel suo quarto anno - non si vede. Quali saranno i fattori determinanti dei prossimi mesi?
AFP
Fonte red
Il Kursk, l'inverno e Trump... Come proseguirà la guerra?
La fine del conflitto - che nel 2025 entrerà nel suo quarto anno - non si vede. Quali saranno i fattori determinanti dei prossimi mesi?

KIEV - Una costante della guerra in corso in Ucraina - se escludiamo le primissime settimane dopo il 24 febbraio 2022, con quei tentativi di tavoli negoziali in Bielorussia, e alla luce del sole, presto tramontati - è stata l'assenza di un orizzonte che ne lasciasse intravedere una possibile conclusione. Sguardo quindi al 2025. Perché, salvo sorprese, alla fine del prossimo febbraio il conflitto - che, al netto del recente schiaffo di Kiev nel Kursk, appare in una situazione di totale stallo - entrerà nel suo quarto anno.

Quali sono quindi i fattori che andranno a influenzare gli sviluppi al fronte? In estrema sintesi, possiamo suddividerli in tre categorie: fattori territoriali; fattori stagionali e, inevitabilmente, fattori "a stelle e strisce".

Sul campo di battaglia, a contare saranno soprattutto i prossimi tre mesi. Da un lato, quello ucraino, tutto starà nel capitalizzare al massimo da un punto di vista strategico il successo, per quanto marginale nel bilancio complessivo della guerra, conseguito nel Kursk. Uno schiaffo che il Cremlino ha tentato di sminuire, ma che da quelle parti, secondo quanto emerso negli ultimi giorni, ha sollevato un polverone. Diverso è il discorso per Mosca, che spingerà su più fronti per disperdere lo sforzo difensivo ucraino e rosicchiare altri ettari di terreno nelle regioni orientali dell'ex repubblica sovietica.

Il fattore stagionale, da quelle parti, è invece uno soltanto: l'inverno. Estremamente rigido e duraturo. E pone in una condizione di ulteriore sfavore, come già si è visto negli anni precedenti, l'Ucraina che ha perso sotto i bombardamenti una larga fetta delle sue infrastrutture per l'approvvigionamento energetico, non a caso tra i bersagli prediletti dai raid a lungo raggio di Mosca. Secondo le stime di energynews.pro, risalenti alla fine della scorsa primavera, sotto le bombe se n'è andato circa il 50% della capacità di produzione elettrica dell'ex repubblica sovietica che si troverà quindi confrontata con un pesante deficit nei mesi più freddi dell'anno. E questo, come rileva in un'analisi il Lowy Institute, avrà non solamente un impatto operativo sulla capacità bellica ma anche risvolti politici su come i cittadini, soprattutto quelli in patria, valuteranno la conduzione della guerra da parte del governo di Kiev.

Il fattore USA. O meglio: il fattore Trump
Infine, il fattore Stati Uniti. E molto in questo senso sarà determinato dall'esito delle elezioni presidenziali. Kamala Harris o Donald Trump? Un'eventuale vittoria di quest'ultimo costituisce infatti l'incognita maggiore in quella che sarà a quel punto l'equazione della guerra.

Il tycoon, nel pieno della trance agonistica da campagna elettorale, ha dichiarato, dopo aver parlato al telefono con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky lo scorso luglio, che intende mettere fine alla guerra molto rapidamente. Parole rassicuranti ma che stridono se poste a fianco di quelle intenzioni, mai celate, di voler ridurre - se non chiudere del tutto i rubinetti - il generoso sostegno finanziario e militare verso Kiev. E sulla stessa linea si muove il suo candidato alla vicepresidenza, J.D. Vance, che dal 3 gennaio 2023, giorno in cui ha iniziato il suo mandato da Senatore, ha votato sempre e solo contro ogni ulteriore pacchetto di aiuti per l'Ucraina.

E poi c'è la questione NATO. La stessa Alleanza atlantica teme infatti che possa verificarsi un forte ridimensionamento nell'eventualità di un secondo mandato di Trump nel distretto di Columbia. E lui, già prima della sua elezione nel 2016, non aveva fatto segreto della sua visione, mettendo l'Alleanza nel mirino, per la gioia di quella fetta di elettorato che vorrebbe Washington concentrarsi suoi problemi e meno su quelli del resto del mondo. Un parere in cui, stando ai sondaggi, si rispecchia oltre la metà degli elettori dell'elefantino.

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