I primi civili sono stati liberati dall'impianto di Mariupol ieri. Sui social le immagini e le loro testimonianze
MARIUPOL - Per molti è la fine di un incubo durato settimane intere. Settimane lunghissime, con l'eco delle esplosioni e delle raffiche, trascorse sotto terra, all'interno dell'acciaieria Azovstal di Mariupol. È qui, nell'ultimo bastione della resistenza ucraina in città, che centinaia di civili hanno trovato riparo dall'assedio. Così è stato fino a ieri, quando - dopo tanti tentativi falliti - hanno finalmente preso il via le evacuazioni. «Sono due mesi che non vediamo la luce del sole», hanno raccontato.
Le operazioni hanno preso il via domenica pomeriggio. Dopo un paio d'ore, come ha confermato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, un centinaio di persone avevano già lasciato i cunicoli dell'impianto - o meglio, di ciò che ne rimane, dopo i bombardamenti russi - partendo alla volta di Zaporizhzhia a bordo di un convoglio speciale. Su Telegram sono stati diffusi i filmati di quei momenti. Decine di persone, soprattutto donne, anziani e bambini, riportati finalmente in superficie.
Il buio è il pensiero ricorrente. Lo sfondo di un incubo che sembrava non avere fine. «Non ci posso credere. Due mesi di buio. Non abbiamo più visto la luce del sole», ha detto alla BBC una delle donne liberate. I primi convogli sono attesi oggi nella città di Zaporizhzhia, nella zona controllata dagli ucraini. Il viaggio non è dei più semplici. In linea d'aria le due città distano 130 chilometri. Ma loro ne devono percorrere 400 su stradine danneggiate e controllate dalle forze di Mosca.
Non solo civili
L'evacuazione proseguirà anche oggi. Per salvare tutte i civili bloccati nell'Azovstal - e si parla di circa un migliaio di persone - serviranno quindi altri convogli. Ma oltre ai civili, nell'impianto sono asserragliati anche i militari. Le cifre riportate dai media internazionali parlano di almeno 1'500 persone. Forse anche 2'000. Molti dei quali feriti. «Anche i nostri soldati devono essere evacuati», chiedono i comandanti sui canali social. Ma Mosca non ci sente e pretende da loro la resa.