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ITALIACaso Open Arms, chiesti sei anni per Salvini

14.09.24 - 21:06
La premier Meloni lo difende. Sul caso interviene persino Elon Musk
Imago
Fonte ats ans
Caso Open Arms, chiesti sei anni per Salvini
La premier Meloni lo difende. Sul caso interviene persino Elon Musk

ROMA - I pubblici ministeri di Palermo hanno chiesto oggi di condannare a 6 anni di carcere Matteo Salvini per avere impedito cinque anni fa lo sbarco a Lampedusa di 147 migranti, con l'accusa di averli sequestrati a bordo della nave spagnola Open Arms.

Richiesta che ha avuto un effetto dirompente nel mondo della politica: «Mi dichiaro colpevole di avere difeso l'Italia e gli italiani, mi dichiaro colpevole di avere mantenuto la parola data», è stato il commento di Salvini, che all'epoca dei fatti era ministro degli Interni nel governo Conte.

Salvini ha poi aggiunto che «mai nessun governo e mai nessun ministro nella storia è stato messo sotto accusa e processato per avere difeso i confini del proprio Paese». Al suo fianco si è schierata la premier Giorgia Meloni: «Trasformare in un crimine il dovere di proteggere i confini italiani dall'immigrazione illegale è un precedente gravissimo, la mia totale solidarietà al ministro Salvini». Presa di posizione fortemente criticata dall'opposizione.

Sul caso si esprime anche Musk - Ma a Salvini è arrivato addirittura il duro endorsement di Elon Musk: "Quel pazzo pubblico ministero dovrebbe essere lui quello che va in prigione per sei anni, questo è pazzesco".

Proprio secondo i pubblici ministeri di Palermo, Salvini avrebbe agito nel 2019 non per una strategia concordata col governo Conte, come invece sostiene la difesa, ma per l'interesse ad aumentare il proprio consenso elettorale facendo leva sulla lotta all'immigrazione clandestina.

Secondo l'accusa, non c'era alcun pericolo di terrorismo a bordo della nave e dunque non c'era alcuna necessità di proteggere la sovranità dello Stato. Inoltre, le condizioni dei migranti per quell'azione si aggravarono di giorno in giorno.

«Lesa la libertà di 147 persone» - Per motivare la richiesta di condanna, il pubblico ministero Marzia Sebella ha sottolineato che «il POS ("porto sicuro", acronimo di place of safety n.d.r.) doveva essere rilasciato senza indugio e subito, il diniego è stato in spregio delle regole e non per proseguire in un disegno governativo», e quel «diniego consapevole e volontario ha leso la libertà di ognuna delle 147 persone e non c'era ragione».

Quindi un pensiero ai migranti, «i grandi assenti in questo processo: non ci sono state le persone offese, la maggior parte di loro è irreperibile, ma non perché siano clandestini o criminali, magari perché una casa non ce l'hanno. Leggeremo a uno a uno i nomi di queste persone per ricordarle».

Parole apprezzate da Oscar Camps, fondatore di Opem Arms: «Siamo emozionati» - Di tutt'altro tenore l'avvocato Giulia Bongiorno: «Basta esaminare gli atti, e non fare ipotesi e teoremi, per rendersi conto che durante tutto il processo c'è stata la correttezza dell'operato di Salvini e la massima attenzione alla salute dei migranti».

«Non si tratta di processo politico» - Il sostituto procuratore Geri Ferrara, assieme alla collega Giorgia Righi, ha affermato che non si tratta di «un processo politico» perché «è pacifico che qui di atto politico non c'è nulla»: sono stati valutati «atti amministrativi come il ritardo o la negazione» del porto assegnato per sbarcare. «L'elemento chiave», per l'accusa, «è stato quando Salvini ha assunto il ruolo di ministro» e «ha spostato le decisioni sulla gestione degli sbarchi e del rilascio dei POS dal Dipartimento libertà civili e immigrazione al suo ufficio di gabinetto».

È stato lui, insomma, ad assumere tutte le decisioni, era lui che veniva informato in modo «costante e quotidiano». Per i pubblici ministeri «non è accettabile» l'idea di anteporre la protezione dei confini nazionali ai diritti umani. «C'è un principio chiave non discutibile: nel nostro ordinamento, per fortuna democratico, i diritti umani prevalgono sulla protezione della sovranità dello Stato», ha sottolineato Geri Ferrara.

«La persona in mare va salvata ed è irrilevante la sua classificazione: migrante, componente di un equipaggio o passeggero», perché «per il diritto internazionale della Convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo anche un trafficante di essere umani o un terrorista va salvato, poi se è il caso la giustizia fa il suo corso».

La replica il 18 ottobre - In attesa della replica delle difese prevista per il 18 ottobre, l'avvocato Bongiorno ha accusato il pubblico ministero di fare politica: «Nel momento in cui dice che il tavolo tecnico, i decreti e le direttive sono tutti inaccettabili, intollerabili e in contrasto con i diritti umani in realtà sta processando la linea politica di quel governo». Entro la fine dell'anno, poi, è prevista la sentenza.

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