Il titolo di Emergent BioSolutions è crollato dopo il caso di J&J. Ma il Ceo aveva già venduto azioni per 11 milioni
La società, che produce su licenza il siero di Johnson & Johnson, ha dovuto gettare circa 15 milioni di dosi a causa di un errore di produzione.
BALTIMORA - I recenti guai di produzione riscontrati nello stabilimento industriale di Baltimora della Emergent BioSolutions, una società biofarmaceutica che produce su licenza il vaccino anti-Covid sviluppato da Johnson & Johnson, hanno avuto un effetto tutt'altro che lieve sulla valutazione della stessa azienda, che nell'ultimo mese ha dovuto fare i conti con un dimezzamento del proprio valore di mercato. Ma ai piani alti qualcuno ha, come si suol dire, "schivato il proiettile".
Alla fine di marzo, il colosso farmaceutico statunitense aveva reso pubblico che, a causa di un errore umano, circa 15 milioni di dosi del loro vaccino prodotte nello stabilimento di Baltimora erano state rovinate. Ne era seguita un'ispezione della Food and Drug Administration e il 16 aprile i vertici di Emergent BioSolutions si sono detti concordi nel «non avviare la produzione» e «mettere in quarantena tutto il materiale esistente fabbricato presso la struttura di Bayview». E mentre i nastri sono ancora fermi, il contraccolpo finanziario ha steso il titolo in borsa, che dai picchi di febbraio - dove aveva toccato i 123 dollari ad azione - è crollato fino ai 61 dollari alla chiusura delle contrattazioni di venerdì scorso.
Un duro colpo, che però - come riportato dal Washington Post - non ha scalfito il Ceo della società, Robert Kramer, che tra il 15 gennaio e il 26 febbraio scorsi, quindi ben prima che il problema venisse portato a galla, ha venduto 97'849 azioni della compagnia per un totale di quasi 11 milioni di dollari. A titolo di paragone, se Kramer le avesse tenute oggi quelle stesse azioni varrebbero circa 5 milioni di dollari in meno.
I vertici di Emergent BioSolutions hanno dichiarato al quotidiano statunitense che la vendita è avvenuta sulla base di un piano che era stato stabilito già nel mese di novembre, sottolineando di aver operato «secondo i più elevati standard etici e in rigorosa ottemperanza di tutte le regolamentazioni» vigenti. E di conseguenza, «ogni insinuazione riguardante atti illeciti è priva di fondamento». Tuttavia, il New York Times a inizio aprile riportava che i primi problemi di produzione presso il sito di Baltimora si erano verificati già nel mese di ottobre del 2020. E quelle 15 milioni di dosi gettate nella spazzatura non sono state una prima volta. L'azienda aveva infatti già scartato - tra ottobre e lo scorso gennaio - cinque lotti del siero di AstraZeneca (la cui produzione è stata poi interrotta) temendo il rischio di una possibile contaminazione.