L'impatto del coronavirus sull'attività economica elvetica si sta rivelando meno forte del previsto
Niente più -6,2%: il Pil calerà del 3,8% secondo la Segreteria di Stato dell'Economia. Per la disoccupazione è ora atteso un tasso del 3,2%, e non più del 3,8%
BERNA - La recessione del 2020 sarà meno forte di quanto inizialmente temuto: stando alle stime della Segreteria di Stato dell'economia (Seco) il prodotto interno lordo scenderà quest'anno del -3,8% rispetto al 2019. Il dato è migliore del -6,2% pronosticato in giugno. Anche per quanto riguarda la disoccupazione la previsione è meno negativa: è atteso un tasso del 3,2%, a fronte del 3,8% presunto tre mesi or sono e del 2,3% registrato l'anno scorso.
La ripresa cominciata a fine aprile sulla scia dell'allentamento delle misure di politica sanitaria anti-coronavirus ha superato le aspettative, spiega la Seco in un comunicato odierno. L'andamento del primo semestre è risultato meno negativo di quanto ipotizzato a inizio estate.
Il rilancio è ripreso anche nel terzo trimestre, sebbene abbia interessato maggiormente alcuni rami economici rispetto ad altri, più dipendenti dalla congiuntura internazionale. Secondo la Seco quindi la ripresa è incompleta: nella maggior parte dei settori i livelli dell'anno precedente non sono stati raggiunti. A fine settembre erano disoccupate quasi 50'000 persone in più rispetto a dodici mesi prima.
La prevista riduzione del Pil del -3,8% - il dato è identico anche al netto dei grandi eventi sportivi, che incidono sensibilmente perché in Svizzera hanno sede le ricchissime federazioni internazionali - rimane peraltro la più forte dal 1975, anche se appare meno grave di quanto apparisse mesi or sono.
Nel 2021 vi sarà un effetto di rimbalzo: il Pil aumenterà rispettivamente del +4,2% e del +3,8% (con e senza effetti degli eventi sportivi). Tre mesi or sono le previsioni erano del +5,3 e del +4,9. Va notato peraltro che la Seco aveva già provveduto a un ritocco delle sue stime all'inizio di settembre, parlando di una contrazione del Pil di "circa il 5%" per il 2020.
Tornando all'analisi attuale, gli esperti della Confederazione si aspettano che verso la fine dell'anno prossimo l'attività economica elvetica ritorni al livello precedente la crisi. La spesa per i consumi e gli investimenti dovrebbe quindi progressivamente aumentare, nonostante le perdite di reddito e il permanere di una grande incertezza generale. Lo scenario si basa peraltro sul presupposto che né la Svizzera, né i suoi principali partner commerciali instaurino un nuovo confinamento su larga scala.
Per quanto riguarda il mercato del lavoro, la situazione dovrebbe migliorare, ma solo lentamente: si prevede infatti che nel 2021 la disoccupazione arriverà a una media annua del 3,4% (previsione di giugno: 4,1%), mentre l'aumento dell'occupazione sarà piuttosto contenuto.
Nel 2021 la situazione internazionale sarà probabilmente caratterizzata da una certa eterogeneità: i Paesi del Sud Europa, improntati al turismo, subiranno in modo particolare le conseguenze del Covid-19. Altre nazioni, tra cui gli Stati Uniti e la Germania, dovrebbero invece riprendersi più in fretta. Nel complesso, l'economia globale tornerà ai livelli pre-crisi a passi piuttosto lenti, il che andrà a scapito soprattutto dei comparti dell'industria svizzera di esportazione più sensibili alle variazioni congiunturali.
Le incertezze sono peraltro elevate. Una possibilità è che la situazione migliori improvvisamente, ad esempio in seguito all'omologazione di vaccini, ciò che potrebbe portare a un ripresa congiunturale molto più rapida. C'è però anche la possibilità che il recupero venga interrotto da un nuovo blocco delle attività o dalla chiusura dei confini, tanto in Svizzera quanto all'estero: in questo caso crescerebbe notevolmente la probabilità di un taglio consistente dei posti di lavoro e di insolvenze aziendali su grande scala. Aumenterebbero anche rischi connessi all'ulteriore indebitamento di stati e aziende. Sussistono peraltro anche altre difficoltà, al di fuori dalla pandemia: per citare qualche esempio, conflitti commerciali, Brexit, turbolenze su mercati finanziari, apprezzamento del franco e correzioni sul mercato immobiliare.