Il saggista Urs Paul Gasche: «I numeri nominali contano poco. I tassi di interesse reali sono oggi ancora più negativi»
ZURIGO - Dire ai piccoli risparmiatori che l'era dei tassi d'interesse negativi è finita significa gettare sabbia negli occhi, perché nei prossimi tempi il valore di quanto è stato messo da parte scenderà ancora più rapidamente di prima e molti vedranno calare il loro potere d'acquisto: lo afferma il noto saggista economico svizzero Urs Paul Gasche, che ricorda come a contare veramente sia il differenziale fra gli interessi e l'inflazione.
«I datori di lavoro, i fondi di previdenza sociale, le banche e con loro diverse autorità e politici cercano di rassicurare le persone: e molti media riprendono una scelta di parole leggermente fuorviante», afferma l'esperto in un contributo pubblicato oggi dal portale informativo svizzero tedesco Infosperber. A suo avviso non è proprio il caso di gridare «urrà, fine dell'era degli interessi negativi!».
«Deve essere chiaro a tutti: dal punto di vista dei salariati, dei pensionati e dei risparmiatori colpiti, conta solo una cosa, come si svilupperà il potere d'acquisto dei loro stipendi, delle loro rendite e del denaro che hanno in un conto bancario», argomenta l'ex responsabile della trasmissione televisiva Kassensturz.
A suo avviso i media potrebbero informare in modo più preciso, dicendo che in futuro non ci saranno più tassi di interesse negativi nominali. «Quest'ultimo termine, insolito solo nel caso di tassi d'interesse negativi ma corretto, potrebbe dare agli spettatori o ai lettori l'idea di come siano i tassi d'interesse reali».
Secondo Gasche se i giornalisti si ponessero nell'ottica dei lavoratori e dei pensionati non si farebbero abbindolare da banche e autorità con cifre nominali, ma fornirebbero informazioni basate su quelle reali. «Perché in un periodo di inflazione, i numeri nominali hanno poco a che fare con i valori reali». Concretamente quindi i risparmiatori, i salariati e i pensionati non percepiscono nulla dello slancio sul fronte dei tassi di cui parlando i media: al contrario, visto che inflazione è molto più alta, perdono ancora più potere d'acquisto di prima.
Un eventuale aumento del tasso di remunerazione su un conto dallo 0'% allo 0,25% non può minimamente compensare il rincaro, che da gennaio è del 3%. Finché l'inflazione sarà alta il denaro nei conti bancari continuerà a perdere potere d'acquisto.
Poiché la differenza fra l'interesse e la svalutazione del denaro è diventata molto più grande rispetto all'inizio dell'anno, i tassi di interesse reali sono oggi ancora più negativi. «Ciò significa che in gennaio, malgrado i tassi d'interesse negativi, i risparmiatori perdevano molta meno ricchezza reale con i loro soldi sui conti bancari rispetto a quanto accade attualmente con un tasso d'interesse leggermente positivo», puntualizza Gasche. «Non c'è alcun motivo per un urrà», conclude.