Tra viaggi, tatuaggi e un futuro a Lugano, la nostra intervista con il pluripremiato artista italiano
Il reggaeton? «È una missione che voglio portare avanti, l'Italia musicale deve internazionalizzarsi»
TORINO / LUGANO - Tra gli artisti che con le loro hit ci stanno abituando bene, è impossibile non nominare Fred De Palma, che con brani come “Ti raggiungerò” o “Un altro ballo” si è fissato lì, nella nostra mente musicale, senza intenzione di sparire a breve.
Il cantante 31enne, che ha più di quattro milioni di ascoltatori mensili sulla piattaforma Spotify, dei quali sette mila dalla Svizzera, si è recentemente esibito a Lugano. In un viaggio tra rap e reggaeton, dischi d'oro e viaggi internazionali, lo abbiamo intervistato, e ci ha raccontato un po' come stanno andando la sua vita, e la sua carriera.
Dagli esordi con il rap a “Re” del reggaeton italiano. Cosa pensi quando guardi indietro, al tuo percorso? Cambieresti qualcosa?
«No, credo che il mio percorso mi abbia portato qui proprio perché c’è stato quel background rap. Comunque reggaeton e rap sono molto simili per certi punti di vista. È vero che il primo ha delle forme stilistiche musicali diverse, ma prevalentemente parla di quello di cui parlano i rapper. Credo che il mio passato abbia influenzato il mio futuro, e mi abbia portato qua».
C’è chi per parlare della tua musica la definisce solo “reggaeton”, ma in realtà (anche in “Unico”) ti piace esplorare sempre nuovi sottogeneri e nuove musicalità, o sbaglio?
«Sì, assolutamente. In questo momento sono focalizzato sul reggaeton, ma anche perché è una missione che voglio portare avanti: credo che l’Italia a livello di musica vada internazionalizzata, e io ho sentito che questa cosa (il reggaeton, ndr) mancava, che potevo farla bene, e che poteva essere d’ispirazione per altre persone. Penso sia importante per la musica italiana che un altro genere influenzi i futuri artisti. È comunque un’altra alternativa a tutto quello che già c’è, come nel resto del mondo».
Un tormentone estivo è spesso associato ad un pezzo vuoto. Quanto è difficile fare pezzi di successo, senza rinunciare a trasmettere qualcosa?
«Io parto dal presupposto che "tormentone" è un po’ un termine antico, mi ricorda il Festivalbar, (ride, ndr) credo il termine giusto sia hit. Comunque, una cosa non esclude l’altra, non credo che per forza si debba escludere la parte emotiva e la parte che trasmette un messaggio, nelle canzoni che possono diventare molto importanti. Però serve un balance, si deve riuscire a parlare veramente a tutti. Uno pensa sempre “ti siedi e fai la hit”, ma non funziona così: si fa la propria musica, poi di tutto quello che si è fatto si cerca di capire cosa potrebbe funzionare, e in che modo. Alla fine è poi sempre il pubblico a decidere».
Quanto è diverso preparare un brano rap da un brano reggaeton, si dà più peso ad aspetti diversi?
«In realtà, preparare un brano reggaeton è molto simile a preparare un brano rap. Ad esempio nel mio disco, se togli la strumentale, i brani potrebbero essere rap/trap, l’attitudine sul beat è la stessa. Preparare una hit reggaeton, invece, è diverso, per il semplice fatto che stai cercando di parlare ad un pubblico molto più ampio».
Nei tuoi brani, e potrei dire anche nelle tue hit, hai tanti featuring con voci femminili (Ana Mena, Anitta…), è un fattore importante, nel reggaeton?
«No, è stata una mia scelta personale quella di cercare una combo che possa essere risultare ancora più forte. Ma non credo sia necessario, se un pezzo è forte lo è, non conta se lo canti da solo, in due, o in quattro. Però sì, per un periodo della mia carriera - che tuttora prosegue - ho scelto di fare diverse collaborazioni con artiste donne».
Hai vinto dischi d’oro x3, e dischi di platino x18. Ti fa ancora effetto? Quanto contano per te?
«Tantissimo, continuare a fare dei successi significa che il fuoco non si è spento, che posso provare ancora a superarmi, e continuare a far musica. Il fatto è poter continuare a giocare la partita contro me stesso. Non credo infatti nella competizione con altri artisti, ma credo sia solo verso sé stessi. Quindi sì, mi fa piacere fare altri dischi di platino (ride, ndr)».
Il tatuaggio della palma? Cosa rappresenta?
«In realtà è perché mi chiamo Fred De Palma e mi è venuto così, una volta che mentre ero in studio. Non è una cosa che ha avuto mesi di riflessione».
Cosa pensi dei fan che lo emulano?
«Spero non in faccia, ma su altre parti del corpo (ride, ndr.). Comunque sì, mi capita di vederle, fa piacere».
Stai viaggiando tanto, anche fuori dall’Italia, ormai punti più ad un pubblico internazionale?
«Mi piacerebbe fare un progetto che sia completamente internazionale, e spero che questa cosa possa presto arrivare, nel mio futuro. Sto lavorando anche in quella direzione, ma non è una cosa che puoi tanto pianificare, è anche qualcosa che deve succedere in maniera autonoma».
Quale è il tuo luogo preferito, e perché?
«Miami, senza dubbio. Mi è piaciuta proprio tanto, proprio per la vibe di quello che faccio, se c’è un posto dove succedono le cose, è quello. A livello musicale, tutti quelli che combinano qualcosa a livello mondiale sono lì, le energie di quel posto sono assolutamente vincenti».
Recentemente sei stato in concerto a Lugano. Com’è stato tornare a suonare dal vivo, tra la gente, dopo la pandemia?
«È stato bellissimo. Era una cosa che mi mancava, spero di continuare a farlo e che non ci siano più sbattimenti di questo tipo».
Cosa ne pensi del Ticino?
«Bellissimo, vorrei venirci a vivere! Vorrei venire a vivere a Lugano».
Ah ecco! Come mai!?
«La tranquillità, e poi c’è tutto. Se vuoi fare festa puoi, se vuoi stare tranquillo, puoi. Poi è molto organizzato, la Svizzera è un Paese che comunque dà, le persone sono educate».
A proposito di Svizzera, e quindi di lingue… Il reggaeton in tedesco, lo ascolti?
«No, non l’ho ancora sentito (ride, ndr). C’è? … Beh sta arrivando anche lì, me lo andrò a cercare».