Disillusione e vulnerabilità nel secondo singolo del progetto Mortòri
LUGANO - Un nuovo capitolo degli amori andati a male firmati Mortòri: ecco a voi “La Gata”. È il nuovo singolo del progetto in dialetto ticinese di Aris Bassetti, il secondo estratto da quello che sarà l'Ep di debutto “A Mort L'Amur”, in uscita il giorno di San Valentino del prossimo anno.
Mortòri, come abbiamo già visto qualche settimana fa nel debutto intitolato “Bordel”, è una esorcizzazione artistica del dolore legato all'amore e alla morte.
Questo nuovo singolo, come il precedente, si muove nel segno di sonorità post-rock - marchio di fabbrica dei vari progetti firmati Bassetti, a cominciare dai Peter Kernel - e di sentimenti che, diciamo così, hanno deragliato dai binari. “La Gata” non fa eccezione: «Non è una canzone d’amore. È pura disillusione. È una riflessione cruda sul fatto di sentirsi troppo brutti e non all’altezza».
La Gatta del titolo è l'oggetto del desiderio amoroso della voce narrante (in questo caso, cantante). È il basso a guidare l'ascoltatore nella vicenda, tratteggiata in maniera essenziale ma vivida: lei arriva, il suo sguardo si posa sull'amico - ed esplode la sensazione di essere fuori posto. Aris canta un momento che potrebbe essere capitato a tutti, una sensazione. Così facendo, trasforma «un momento di rifiuto in un'esperienza universale».
Potrebbe esserci un finale diverso? Non nell'universo Mortòri. «Tal disi mi, l’è propri inscì», va così e non sarebbe potuto andare diversamente. Lei è sicura, consapevole, quasi animalesca; lui è l'insicuro che ripete tra sé e sé un mantra amaro - quello di colui che conosce in anticipo il finale della storia. «L’è propi bèla, tanto bèla. Ma te vet mia che l’è trop bèla».
“La Gata” si muove musicalmente con un andamento sinuoso, felino appunto. I versi sono asciutti, quasi secchi e frammentati, «come un pensiero che fatica a trovare pace». La bellezza diventa un ostacolo, «una distanza emotiva da ciò che desideriamo», mentre il protagonista si rassegna (con dignità, più che con sconforto) al ruolo di spettatore. «E infatti l’è chi per ti, l’è giüst insci».
Una canzone d'amore mancata, non rabbiosa ma intrisa di una quieta malinconia - quieta in quanto assorbita, accettata, anche se non ancora digerita. «È una ferita aperta: ci consuma e ci invita a guardarci nel riflesso delle nostre insicurezze. Non per affrontarle, ma per ricordarci della loro presenza».