Tutti per Djokovic? No, tutti per avere visibilità
Djokovic e quel carro dei vincitori sul quale salire.
MELBOURNE - Australia contro Djokovic. Non è sport: è un misto tra regole - da applicare o interpretare - e populismo. È un carro sul quale molti stanno aspettando il momento giusto per salire.
Da qualche giorno l’Australia non è “dall’altra parte del mondo”, è diventata “il centro del mondo”, per chi si interessa di tennis e anche per chi di racchetta e palline non sa nulla. Da quel giorno l’isola-continente è, a seconda dei punti di vista, il terribile Stato che sta vessando uno degli sportivi più conosciuti a livello planetario o il Paese dove non si fanno distinzioni, dove la legge è uguale per tutti.
Il malinteso
L’incredibile trambusto è ufficialmente cominciato il 5 gennaio, quando Novak Djokovic è atterrato a Melbourne. E lì è stato fermato. Perché? Da sempre un convinto no-vax, il serbo aveva un’unica via per entrare in Australia: ottenere un’esenzione medica che gli permettesse di schivare l’obbligo vaccinale imposto dal Governo federale a quanti vogliono accedere al Paese. Dopo mesi di trattative, tale documento il 34enne di Belgrado lo ha ottenuto grazie all’interessamento di Tennis Australia (gli organizzatori degli Australian Open) e delle autorità dello Stato di Victoria (dove il torneo si svolgerà). Tutto bene? Per nulla. L’esenzione e il visto a essa collegato non sono infatti stati riconosciuti dall’Australian Border Force - le “guardie di confine” - che rispondono esclusivamente al Governo federale. Confusi? È un po’ come - per semplificare - se una società privata e il Consiglio di Stato a Bellinzona avessero garantito a un soggetto terzo un documento vitale che Berna invece non avrebbe mai sottoscritto.
A caccia di visibilità
Da qui l’impasse iniziale che, sempre pubblicizzatissima, è velocemente diventato un caso diplomatico. In principio stupefatto per lo stop e probabilmente anche “vittima” - è stato fermato e interrogato in aeroporto per otto ore e poi è stato trasferito in un modesto hotel in attesa del processo - Djokovic è in seguito rapidamente diventato attore principale di una tragicommedia. In questa hanno, a turno, preso parte le massime autorità e la folta comunità “locale” della Serbia, indignate per il trattamento riservato al loro figlio prediletto, e i vertici dei governi statali e federale australiani, pronti a bisticciare sulle rispettive competenze. Non solo. Siccome su Melbourne sono state puntate le telecamere di mezzo mondo, in cerca di briciole di visibilità si sono aggiunti pure i difensori dei diritti di quei rifugiati che per qualche giorno hanno avuto Nole come compagno di albergo e gli immancabili no-vax.
Soluzione o quasi
Tra minacce e proclami, con Novak che dalla sua stessa famiglia è stato paragonato a Spartaco e a Dio, la querelle è continuata fino alla sentenza del Tribunale di Melbourne. Fino a quando il giudice Anthony Kelly ha dichiarato irragionevole il blocco del visto, rimettendo in libertà il serbo. Questo perché il fatto di essere stato contagiato e guarito dal coronavirus negli ultimi sei mesi (è risultato positivo il 16 dicembre ma nei giorni seguenti ha presenziato a diversi eventi pubblici, altra macchia sull’immagine del campione perfetto) ha, secondo il togato, dato diritto a Djokovic di chiedere l’esenzione.
Punto? No. Quello lo metterà il Ministero per l’immigrazione guidato da Alex Hawke, chiamato a stabilire in via definitiva se un’infezione pregressa è un motivo sufficiente per ottenere l’esenzione e quindi avere la garanzia della permanenza in Australia. Vi sembra sport? No, è solo un pretesto per tentare di far valere le proprie ragioni. È solo un modo, sfruttando la luce di riflettori, per guadagnare consensi.
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Un profeta che, liberato, è pronto a fare nuovi miracoli o un individuo poco attento alla salute altrui: subito dopo l’“assoluzione” da parte del Tribunale di Melbourne (e in attesa delle parole del Governo australiano), trattando l’argomento-Djokovic il mondo social si è spaccato. E non in una metà perfetta. Sportivi? Pochi.
Una minoranza, rappresentata soprattutto dagli allergici al vaccino, ha esultato e incensato un Paese dove “esiste ancora la giustizia con la G maiuscola”. La maggioranza ha invece evitato di commentare la sentenza, soffermandosi piuttosto sui giri “da positivo e senza mascherina” fatti dal serbo da metà dicembre in avanti. Solo polemiche sterili? Nella conferenza stampa del trionfo, quella nella quale hanno dichiarato «È la sua più grande vittoria», interrogati sulla questione, papà e fratello di Nole hanno accuratamente evitato di rispondere…