Ripresa difficile per i calciatori: corpo e mente messi alla prova.
«Tra quelli che prendono queste decisioni non so quanti siano stati calciatori professionisti».
LUGANO - Il primo allenamento è andato, ma con esso non sono svaniti timori e preoccupazioni. Di incertezze, anche paure, i giocatori del Lugano continuano infatti a viverne anche ora che è stata ridata loro la possibilità di muoversi insieme sul rettangolo verde.
A esprimere tutte le perplessità dello spogliatoio bianconero è stato Mijat Maric, che non ha nascosto irritazione per il modo in cui tutta l’emergenza è stata affrontata.
«L’allenamento, non certo normale dopo una pausa tanto lunga, è andato meglio del previsto - ha raccontato il 36enne difensore - Fa piacere essere tornati anche se con la testa non siamo molto tranquilli. Come potremmo, non sapendo cosa succederà? Cerchiamo di adattarci».
I dubbi nascono da un futuro nebuloso e forse intensissimo.
«Non si sa ancora se si giocherà e quanto. Potremmo essere costretti a scendere in campo ogni tre giorni e questo, dopo un lungo stop, non sarà certo facile. Il rischio è che, dopo aver disputato magari cinque partite in 20 giorni, ci si ritrovi a camminare. E lo spettacolo? E le certezze? Perché si deve tener conto di tanti fattori: i contratti in scadenza, gli infortuni… tante partite ravvicinate, due stagioni in un unico anno, sono un rischio grandissimo. Non sono convinto di quel che ci vogliono far fare. Non so quanti, tra quelli che prendono queste decisioni, siano stati calciatori professionisti. Non so se queste persone sappiano cosa significhi essere un calciatore. Sotto l’aspetto fisico ma anche nervoso e mentale. Vogliono fare come in Germania, senza però avere la stessa organizzazione e le stesse infrastrutture. Noi atleti siamo l'ultima ruota del carro. Non ci hanno chiesto nulla fino all’ultimo, fino a quando non abbiamo alzato la voce. Anche così però…».
Marcare un avversario da vicino potrebbe essere pericoloso.
«Ci penso ora, non lo farò quando sarò in campo. Il punto è però un altro. Il nostro è stato tra i primi Paesi ad aver fermato tutto quando è cominciata l’emergenza; è un peccato ora ricominciare così, alla buona. I test andavano fatti a prescindere. Mi sembra sbagliato rischiare qualcosa quando c’era la possibilità di evitarlo. Fosse per me, non giocherei: ci sono troppe incognite rispetto alle certezze».
Tra le varie proposte da valutare ci sono la riapertura degli stadi ai tifosi e la Super League a 12 squadre.
«Io vorrei che il pubblico ci fosse. Ma si deve valutare se ne vale la pena e se il rischio è abbastanza basso da permetterlo. Per quanto riguarda il campionato a 12 squadre, io sono favorevole. Fosse per me lo farei addirittura a 14».