Il difensore ticinese: «Le giornate sono davvero piene, ma è motivo di grande soddisfazione essere utile alla comunità».
Il 28enne è soddisfatto: «Sono circondato da professionisti di ogni settore, in grado di organizzare e pianificare al meglio determinate situazioni»
BELLINZONA - Dal campo all'ufficio del medico cantonale. È questa l'interessante parabola di Bruno Martignoni, attuale difensore del Bellinzona.
A causa del coronavirus i granata - che militano nella semiprofessionistica Promotion League - si sono visti sospendere il campionato. Di conseguenza anche il 28enne - che ricordiamo si laureò campione del mondo nel 2009 con la nazionale svizzera Under 17, insieme ai vari Granit Xhaka, Ricardo Rodriguez, Haris Seferovic e Pajtim Kasami (segnando anche una rete in semifinale contro la Colombia) - ha dovuto momentaneamente appendere le scarpette al chiodo.
Per sopperire alla mancanza del campo, il calciatore ticinese ha così deciso di collaborare con il Cantone ed è stato assunto dal servizio di tracciamento dei contatti dell'Ufficio del medico cantonale. Il suo compito è quello di contattare le persone risultate positive al tampone, prendere i dati e fornire loro ogni informazione del caso riguardante l'isolamento. Ma anche mettere in quarantena i loro contatti stretti per interrompere la catena di trasmissione dell’infezione e contenere ulteriormente la diffusione del Covid-19. «Questo virus non dorme e non va mai in vacanza», sono state le prime parole di Martignoni. «Le giornate sono davvero piene, ma è motivo di grande soddisfazione essere utile alla comunità».
Bruno, com'è iniziata questa tua nuova avventura?
«Dopo l'esperienza in Challenge League con il Chiasso, ho firmato lo scorso mese di settembre un nuovo contratto con il Bellinzona e, qualche settimana più tardi, sono anche risultato idoneo per questa mansione tramite la disoccupazione. Il Cantone garantisce questo importante compito di tracciamento e sono felice di essere stato assunto. Mi sono immerso abbastanza velocemente nella nuova realtà e ho finora imparato moltissime cose. Sono circondato da professionisti di ogni settore, in grado di organizzare e pianificare al meglio determinate situazioni e di gestire un gruppo variegato di persone. L'obiettivo è fare in modo che questo processo vada avanti».
Per svolgere un lavoro del genere ci vogliono nervi saldi e capacità a gestire lo stress.
«Ogni giorno la speranza è che le persone prendano le notizie in maniera positiva e che stiano bene di salute. A volte bisogna anche avere a che fare con dei figli preoccupati per le condizioni dei loro genitori. Le nostre funzioni sono molteplici, ci capita di essere un po' rassicuratori, un po' dottori e un po' psicologi. Cerchiamo di mettere il massimo impegno per tranquillizzare e informare le persone e per portare avanti il nostro lavoro. E i risultati si stanno vedendo».
Non deve essere evidente contattare ogni giorno un numero infinito di persone e informarle sulla situazione.
«A novembre per esempio, periodo più delicato della pandemia, avevamo circa 350-400 casi positivi giornalieri. Calcolando poi che ognuno di questi ha avuto svariati contatti stretti, il numero di persone da contattare ogni giorno è stato davvero alto. Serve molto personale per evadere così tante chiamate e bisogna inoltre tenere conto che alcune di queste persone non rispondono al telefono, altre sono state ricoverate e quindi bisogna riuscire a trovarle, chiamando famigliari, ospedali o case per anziani».
E le domande saranno sicuramente moltissime...
«Diciamo che all'inizio la gente era meno preparata alle quarantene e al fatto di ricevere così tante informazioni. Più passa il tempo però e più le persone si stanno abituando a questa nuova realtà. Noto comunque con piacere che c'è tanta collaborazione da parte della popolazione. Solitamente le persone alle quali viene riscontrata la positività, hanno già chiamato spontaneamente i loro contatti per avvisarli di non andare al lavoro o di non mandare i figli a scuola per sicurezza. I casi stanno ora diminuendo e la cosa non può che farci piacere».
Si tratta indubbiamente di un ottimo servizio per il nostro Cantone.
«Bisogna fare i complimenti ai responsabili dell'organizzazione che, nonostante il poco tempo avuto a disposizione, sono riusciti a mettere in piedi una macchina funzionante partendo da zero. Magari strada facendo si è verificato qualche momento di rallentamento, ma non è di sicuro dovuto all'incompetenza del personale, bensì a causa dei casi di coronavirus veramente alti. A volte da fuori la situazione può risultare più semplice di quello che sembra, ma basterebbe viverla anche solo un giorno per capire la mole di lavoro non indifferente cui siamo confrontati. Qualche settimana fa il tracciamento ha ricevuto delle critiche e personalmente mi è dispiaciuto molto, anche perché ogni collaboratore dà tutto sé stesso per svolgere la sua mansione al meglio».
Dopo una vita da sportivo professionista com'è stato immergersi al 100% in un attività così diversa?
«I primi giorni era come essere in ritiro. Tornavo a casa, cenavo e andavo subito a dormire. Ero sempre molto stanco, ma con il tempo mi sono abituato e sono davvero soddisfatto del mio ruolo. Abbiamo creato un bel team, dove tutti sono motivati ad aiutarsi a vicenda. È diventata una ruota che gira da sola: adesso sappiamo cosa dobbiamo fare e con il tempo che passa miglioriamo anche i piccoli dettagli».
Ricordiamo che Martignoni è uno di quei pochi giocatori ad aver militato in tutte e quattro le principali squadre ticinesi. Prima del Bellinzona anche Locarno, Lugano e Chiasso.
«Sono anche l'ultimo visto che purtroppo il Locarno è fallito. Sono in ogni caso felice della mia scelta, il Bellinzona nutre ambizioni di promozione e penso che siamo la squadra da battere, poi sarà ovviamente il campo a parlare. La piazza è importante e speriamo di ricominciare a giocare al più presto. La mia carriera? Il calcio per me è sempre stato una passione e mi ha finora permesso di avere un tetto sopra alla testa. Avrei forse potuto fare di più, ma mi sono tolto grosse soddisfazioni sia a livello personale sia di squadra. In campo internazionale ho poi avuto la fortuna di poter giocare con i vari Seferovic, Xhaka, Kasami e Rodriguez, ma anche contro avversari del calibro di Götze, Allison, Neymar o Coutinho. Sono orgoglioso di quello che ho fatto».