Xhaka non è solo: in Inghilterra il 30% circa dei giocatori non è vaccinato
Nel frattempo Xhaka è risultato positivo anche al secondo tampone: sicura la sua assenza in vista dell'Italia e dell'Irlanda del Nord.
BASILEA - Niente match contro la Grecia, niente doppia sfida di qualificazione al Mondiale, isolamento fino alla “negativizzazione” e, soprattutto, un mare di critiche: come già più volte capitatogli in carriera, Granit Xhaka è finito nell’occhio del ciclone.
Questo perché da simbolo di un Paese - in quanto capitano della Nazionale - ha liberamente scelto (era un suo diritto), unico tra tanti, di ignorare le raccomandazioni della Federazione. Questo perché, da attore privilegiato sul palcoscenico del calcio inglese, ha liberamente scelto (era un suo diritto) di ignorare le raccomandazioni dei vertici della Premier League.
La stampa britannica ha stigmatizzato la scelta del 28enne, appartenente a quel 30% di atleti che ancora non ha ricevuto neppure una dose del vaccino - “in piena forma fisica non rischiamo molto”, è stato riportato come motivazione, ndr - ma anche indicato come il primo di cui si abbia ufficialmente la certezza del rifiuto all’iniezione. L’ASF, la Premier League e le altre federazioni europee non possono imporre obblighi; dovrebbero però, per salvaguardare la salute di tutti quelli che entrano nel loro circo e dare l’esempio, trovare almeno il modo di dimostrarsi autorevoli.