«Juventus, Inter, Milan e Barça? Cinque giocatori da 20 milioni l'uno piuttosto che uno da 100»
Arno Rossini: «Haaland e Vlahovic? Bravi, ma da soli non vincono».
DORTMUND - Erling Braut Haaland e Dusan Vlahovic. Non serve essere super esperti o avere i giusti agganci per sapere che, la prossima estate, il norvegese e il serbo saranno le “chicche” del mercato. Non serve essere super esperti o avere i giusti agganci per sapere che attorno a loro e ai loro trasferimenti ruoteranno cifre da capogiro. Perché se c’è una certezza è proprio che, a fine stagione, i due attaccanti cambieranno maglia, lasceranno rispettivamente Dortmund e Firenze. Ma per andare dove?
«In club che non hanno problemi a spendere tanto - ha precisato Arno Rossini - chi già ora ha dei conti che non tornano non si potrà permettere di ingaggiare uno di questi due potenziali fenomeni».
Si finisce a parlare sempre delle solite società?
«Non si scappa, il momento storico è quello che è. L’ingaggio (che comprende la cifra da dare ai club di provenienza, la commissione per i procuratori e lo stipendio) di attaccanti tanto forti… si parla di centinaia di milioni… possono permetterselo in pochi. Quelli che hanno una proprietà araba, alla quale basterà alzare di mezzo franco il prezzo della benzina per rientrare delle spese, chi gioca in Premier League, il Bayern Monaco, forse il Real Madrid. Non me ne vengono in mente altri».
Questi farebbero bene a puntare su uno dei due attaccanti?
«Senza dubbio. Si tratta di giocatori giovani ma già molto forti, che hanno davanti a loro un futuro luminoso. C’è però un altro motivo per il quale a queste società converrebbe scommettere su Erling o Dusan».
Ovvero?
«Sono ricche. Possono rischiare senza compromettere la loro stabilità economica».
Significa che chi non nuota nell’oro, chi deve vendere prima di acquistare, non si può esporre?
«La Juventus, l’Inter, il Milan, il Barcellona… dalla loro hanno il blasone. Ma hanno anche bilanci precari. Spendere 60-70-80 milioni o anche più per un giocatore, avrebbe senso?».
Stiamo parlando di due ventunenni, rivendendoli ci sarebbe comunque un profitto.
«Il valore di questi due elementi non si discute. Ma neppure i rischi che un’operazione tanto onerosa comporterebbe. E se poi, ingaggiati, nel nuovo club non facessero faville? E se, cambiato spogliatoio, campionato, lingua, faticassero ad ambientarsi? Io credo che, più che spendere 100 milioni per un calciatore, in questo momento le società che non hanno grossa disponibilità economica sono più orientate a spenderne, eventualmente, 20 l'uno per cinque ragazzi diversi. Il rischio così si frazionerebbe e la possibilità di ottenere una plusvalenza al momento della rivendita sarebbe più grande».
Spesso si è detto che, a livello di scouting, capire di trovarsi davanti a un buon attaccante è relativamente semplice: uno in grado di segnare nelle serie o nei campionati minori è destinato a fare lo stesso anche con i grandi.
«Non sono d’accordo. Si devono valutare tante cose. La tecnica del ragazzo è una di queste. Ma anche l’esplosività: trovarsi ad affrontare difensori più “fisici” di quanto si è abituati di sicuro è un bel problema e può fare la differenza. Più che i numeri va, inoltre, valutata la vita extracalcio di chi si va a bloccare. La sua disponibilità, l’etica lavorativa, le abitudini, la famiglia…».
Ma poi, professionisti come Haaland e Vlahovic ha davvero senso ingaggiarli? Si gioca in undici…
«Possono influire sul gioco di una squadra? Certamente. Possono fare la differenza? Sicuro. Possono “alzare” il livello di un gruppo? Senza alcun dubbio. Attenzione però, hanno grandi qualità ma non la bacchetta magica: non riusciranno mai, da soli, a risolvere tutti i problemi. Firmare Erling o Dusan non ti dà la certezza di vincere un campionato o la Champions League. Se non inseriti in un undici equilibrato e ricco di qualità, anche giocatori tanto forti finiscono con l’essere limitati. Serve il collettivo, sarebbe altrimenti troppo facile…».