Arno Rossini: «L’Italia deve fare mea culpa. Mondiale biennale? No, grazie»
«Il raddoppio del Mondiale? Riforma “spinta” esclusivamente da chi conta i soldi».
FIRENZE - In uno dei suoi tanti viaggi di rappresentanza come presidente della FIFA, in una delle tante conferenze che fa solitamente, Gianni Infantino è tornato a parlare di Mondiale. E lo ha fatto toccando due punti cruciali: l'eventuale ripescaggio dell'Italia a causa di problemi di qualche altra federazione e il chiacchierato dibattito riguardante la possibilità di giocare ogni due anni.
Il primo argomento, il gran capo del pallone planetario lo ha liquidato con un inequivocabile «Siamo seri, per favore».
«È giusto che sia così - ha spiegato Arno Rossini - Se l’Italia non si è qualificata per Qatar 2022 è solo colpa sua. Ha avuto tutte le possibilità per riuscirci ma si è buttata via. Deve fare mea culpa, si è rovinata con le sue mani. La sua assenza mi rattrista molto. Per quanto riguarda invece la possibilità di giocare il campionato del mondo ogni due anni… No, grazie: l’idea non mi attira».
Metà dell’attesa, il doppio delle emozioni.
«Credo che la possibile riforma sia “spinta” esclusivamente da chi conta i soldi. All’atto pratico, penso tuttavia che un cambiamento del genere non andrebbe a favorire il calcio e lo spettacolo. Anzi, il contrario. Il calendario internazionale è già ora abbastanza congestionato; per riuscire a disputare un torneo tanto grande ogni due anni bisognerebbe dunque rinunciare a qualcosa. La Nations League potrebbe per esempio saltare. E anche a livello di club i calendari andrebbero modificati. Ma non so quante società siano disposte a disputare meno partite nelle coppe, visto che è proprio dalle competizioni continentali che ottengono le entrate maggiori. Sono inoltre sicuro del fatto che un Mondiale più “frequente” perderebbe a livello di qualità e di prestigio».
La “collocazione” ogni quadriennio è però vecchia di quasi cento anni, quando anche a livello logistico - pensiamo ai grandi viaggi - era più difficile fare di meglio. Ora i tempi sono cambiati.
«Ma la Coppa del Mondo come la conosciamo noi ha ancora un fascino tutto suo. Un fascino che scemerebbe raddoppiando le edizioni. E… meno fascino è uguale a meno interesse. Faccio un esempio: oggi non c'è giocatore disposto a rinunciare a partecipare a una fase finale del torneo. Questo perché sa potrebbe trattarsi dell'occasione della vita. Davanti a un campionato biennale qualche calciatore - quelli più spremuti dai club - potrebbe invece anche passare. Succede già nell’hockey, mi pare, dove la manifestazione è addirittura annuale: i campioni non sempre sono presenti, mentre per le Olimpiadi… Ma d'altronde è anche comprensibile. È come andare al ristorante tutte le sere: a un certo punto ti abitui e quasi perdi piacere a farlo».
Le possibilità che la riforma passi sono dunque poche?
«Pochissime, per come la vedo io. E anche solo parlarne sta facendo incancrenire i rapporti tra FIFA e UEFA. Questo anche perché il vantaggio del cambiamento sarebbe solo per una federazione. Il tornaconto, il guadagno, sarebbe esclusivamente appannaggio dei dirigenti zurighesi. È tutto business…».